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2023: Album – 10 ascolti da ricordare
1. Anna B Savage – In Flux
Vince un nome particolare, quello di Anna B Savage. Un nome che è riuscito a imporsi nonostante un disco uscito nel febbraio di quest’anno: per superare un intero anno di ascolti bisogna avere le spalle forti e questa esile ragazza inglese capace di tirare fuori una voce diversissima e una scrittura musicale più che interessante ce le ha. Vince (sugli altri bei dischi) anche per lo splendido live al Covo di Bologna e per il coraggio. Basti pensare alla canzone che dà il titolo al disco, in Flux, che inizia in maniera semplice e finisce per essere quasi una scatenata danza jazz impazzita, o per l’iconica The Ghost (che ho raccontato in questo episodio del mio podcast). Un pò sulla traccia di Fiona Apple, Anna B Savage vince quest’anno il miglior disco con l’idea di avere visto una stella nascere: nel futuro c’è tanto spazio per lei.
2. Daniela Pes – Spira
Un caso rarissimo: un disco italiano. Un caso rarissimo, un esordio italiano. Un caso rarissimo: un disco italiano che è riuscito da solo con un pugno di tracce a crearsi un sottoculto sempre più forte, a finire sulla bocca di tutti, ad essere citata ovunque, come non capita quasi mai in questi anni di streaming frammentato. Ad oggi, a ciclo del disco abbastanza esaurito, Daniela Pes ha 25mila ascoltatori quotidiani sul solo Spotify, che per un disco cantato in sostanza con parole inventate, con momenti sospesi tra elettronica, tradizione della Sardegna e vette oniriche, è follia. Eppure funziona, a volte sfiora anche gli ultimi Portishead, a volte è Iosonouncane (in grossa cabina di regia) ma al di là dei facili nomi è un disco che sa di magia. Una canzone accessibile in cui gettarsi?
3. Sufjan Stevens – Javelin
Da due voci freschissime a quello che è ormai un monumento, Sufjan Stevens. Per qualche motivo mi dà fastidio, quasi, doverlo inserire. Nell’idea di andare sempre alla ricerca di esperienze nuove, non dovrei includerlo. E poi è vero, questo disco è quasi (quasi eh) un secondo atto di Carrie And Lowell, c’è quel pizzicare di chitarra, la voce angelica, i cori, la sofferenza raccontata. Eppure, cosa non è “Will Everybody Ever Loved me?”. Eppure, quanto c’è della vita, dei dolori, delle tragedie, delle sofferenze, qui dentro? E come si fa, allora, a non amare questo Javelin?
4. Black Country, New Road – Live at Bush Hall
Un live come disco da ricordare? Si, perché questo è un disco di inediti. Ed è potenzialmente una delle storie più strane mai viste: un gruppo in totale esplosione che perde il proprio cantante all’uscita del secondo disco (un capolavoro), un disco che mai sarà suonato dal vivo. E che invece di crollare sulle proprie ceneri sceglie di ripartire, di ridefinire i ruoli, si tiene stressa la fan base, porta in giro e pubblica un disco pieno di nuove canzoni che man mano ridefiniscono il suono. Non è magia? E cosa c’è in queste tracce? Frammenti sparsi di pura bellezza. Dancers che è quasi un inno indie rock, Turbines/Pigs che ha il coraggio di arrivare a quasi dieci minuti di emozioni distillate tra voci e piano, quella iniziale Up Song che è già un manifesto di una band che non si arrende. Si parlava di futuro, noi ce li teniamo dentro.
5. Boygenius – The Record
Un disco che sa di classico, un disco che è un pò un classico. Lo capisci: tre nomi fortissimi della scena americana di ragazze con chitarra ovvero Julien Baker, Phoebe Bridges e Lucy Dacus, che avevano già fatto un primo ep insieme si sono messe assieme in maniera abbastanza clamorosa. Sapendo dare la centralità (della scrittura) in maniera alternata, The Records è un disco perfettamente equilibrato che ha, in sostanza, solo belle canzoni. Una piccola magia che ci regala dodici brani che sanno parlare di emozioni, sensazioni, che accavallano le voci. Basta guardare il piccolo “Boygenius – The film” per capire di cosa parliamo.
6. The Murder Capital – Gigi’s Recovery
Dublino: una città che sa sempre regalare qualcosa di nuovo, in particolare chitarre alla mano. I Murder Capital sembrano essere quelli che nel filone post punk sono in grado di scompigliare le carte, in particolare con la sinistra voce di James Mcgovern a cesellare un bellissimo secondo album. Che ci sia qualcosa qui dentro è chiaro anche vedendoli dal vivo. Ancora in itinere, ma se ci fosse un nome su cui puntare in questa scena, beh: loro.
7. The National – Laugh Track
Come per Sufjan Stevens: non vorrei mettere questo disco in classifica. Sono sempre loro, i The National. Perfetti e diventati improvvisamente, dopo una crisi di scrittura non indifferente negli anni scorsi, un gruppo che rilascia due dischi in pochi mesi. Dove il primo non era nemmeno così incredibile, dove il secondo ha scontentato un pò tutti proprio perché non sembrava aggiungere niente. Solo che, alla fine questo secondo gemello, questo Laught Track è spesso tra gli ascolti. Solo che la coda percussiva di Space Invaders è mozzafiato, solo che la batteria torna a farsi potente e nervosa (Deep End, Smoke Detectors), solo che quell’ingenuo, già noto, debole, duetto con Bon Iver poi te lo ascolti ancora e ancora. Insomma: non è chiaro come, ma c’è. C’è.
8. James Blake – Playing Robots in Heaven
A proposito di album sottovalutati e di artisti che sembrano un pò snobbati. James Blake. Ormai adulto, maturo, consapevole, dopo l’apertura al colore e alle sfumature (alla felicità?) ritorna alle sue origini, ovvero l’elettronica, il lavoro perfetto sulla voce, l’originalità nelle idee. Playing Robots in Heaven è un album forse un pò distante dai gusti moderni (proprio lui che era pura avanguardia, ai suoi inizi) eppure è un ottimo disco di elettronica autoriale ben scritta e ben fatta. Basti sentire Loading.
9. Lol Tolhurst, Budgie, Jacknife Lee – Los Angeles
Questo è un progetto completamente inaspettato, che è allo stesso tempo passatista e modernissimo. Due batteristi di storica fama: Lol Tolhurst (batterista dei Cure) Budgie (batterista di Siouxie And the Banshees) e Jackife Lee, produttore irlandese di grande fama si mettono assieme (insieme a tanti featuring importanti) e scrivono un bellissimo album pieno di ritmica, melodia e spunti interessanti. Ah, dentro c’è anche quella che è parsa istantaneamente la canzone dell’anno, quella Los Angeles che dà il titolo all’album, con una meravigliosa performance vocale del buon vecchio James Murphy.
10. Temples – Exotico
Completamente inaspettato. I Temples sono una band della media borghesia: bravi, ma mai troppo in alto nelle valutazioni, nei cartelloni, nella considerazione. In più, non sono nuovissimi, perchè Exotico è ormai il loro quarto album. Eppure, riguardando a tutti gli ascolti degli ultimi dodici mesi, questo disco dimostra una certa solidità. Ben prodotto, ben suonato, spesso nella scia della psichedelia dei Tame Impala (come nella ottima apertura di Liquid Air) e fa piacere premiarlo con un bel posto in classifica. Tantissimi gli altri album che potevano arrivare in questa zona, ma alla fine, anche per numero di ascolti, ci mettiamo loro.
32 Canzoni da ricordare
Un gruppo eterogeneo di canzoni, esperienze singole che per un motivo o per l’altro rimangono di quest’anno. Sicuramente a posteriori qualcosa risulterà di troppo e qualche mancanza arriverà: impossibile pretendere di essere completi: una lista di canzoni è come il video di un viaggio, istanti e frammenti, ricordi che ci si vuole portare dietro. E riguardando, in questo dicembre 2023, a questo anno, quello che ci vogliamo portare dietro è questo.
Daughter – Be On Your Way: Delicata e sognante, è una canzone in pieno stile Daughter: sognante, delicata eppure ruvida (quel basso densissimo), ci fa capire quando abbiamo bisogno di questo gruppo che scrive poco (solo 4 album in tredici anni, di cui uno è una colonna sonora) ma quando lo fa, lo fa benissimo.
The Murder Capital – The Stars Will Leave Their Stage: è un brano storto, stortissimo. I suoni sembrano fuori tempo, la voce di James Mcgovern dà il suo massimo, non è necessariamente il miglior brano dell’album ma quell’aria sinistra, quel brivido violento che rimane a distanza di mesi fa pensare: che pezzo, ragazzi.
MOLLY – Ballerina: gruppo austriaco, arrivato quest’anno al secondo album (Picturesque)ricordano un pò i Sigur Ros più energici. Passati abbastanza inosservati, per chi abbia voglia di densità sonora, eccoci qui: una gemma da recuperare.
Young Fathers – I Saw: I saw what I saw / I keep on walking the line, ripetono gli Young Fathers e potremmo chiuderla così. Sempre loro, un energico collettivo di protesta sociale, battiti afro e qualcosa a metà tra rap e rock, sono una creatura abbastanza unica. E questo brano ce lo portiamo dritto nel 2024, per sperare di sentirlo dal vivo.
Anna B Savage – The Ghost: vincitrice del (mio) disco dell’anno, The Ghost è la gemma che apre le danze. Quel senso di inquietudine di una persona da cui doversi liberare, una produzione classica e elettrica allo stesso tempo, il brano fa già capire che siamo di fronte ad un modo di interpretare le canzoni tutto personale. Bella anche in acustico per la Blogoteque, tra le vie di Parigi.
Manchester Orchestra – Capital Karma: non ho competenze particolari su questa band, tra l’altro molto longeva. Fatto sta che il piccolo ep “The Valley from Vision” è apparso in una qualche playlist o recensione e l’inaugurale Capital Karma è diventata per qualche settimana un brano in ottima rotazione. Non c’è niente di particolare qui, se non una qualche vicinanza ai Fleet Foxes più ispirati e corali e soprattutto, una bella penna a scrivere.
Black Country, New Road – Dancers – Live at Bush Hall: un brano potente. Oggi giorno non esistono più i brani “indie” da piccolo club, ma questo sembra esserlo: te lo senti il pubblico che appena parte “dancers stand very still on the stage” inizia a cantare, ballare, urlare. L’andamento è poi incerto come nella classica storia di questa band al secondo atto della propria carriera dopo la perdita del cantante, però ci sono quelle luci. Viene voglia di cantarla.
boygenius – $20: come si apre un disco. Un breve accenno vocale assieme e poi chitarra dritta: un brano che probabilmente viene dalla penna di Julien Baker e che apre un album pieno di belle canzoni con tre tra le più interessanti artiste di oggi, riunite assieme.
James Holden – Contains Multitudes: finora, in effetti, ci sono state parecchie chitarre, ma è solo un caso. Che bel disco questo “Imagine This Is A High Dimensional Space Of All Possibilities”, viaggio sonoro estramamente elegante e raffinato nella musica elettronica. Tra le altre, questi nove minuti sono classe pura.
Patrick Wolf – The Night Safari: un ritorno? Non è chiarissimo. Ma quel genio di Patrick Wolf sta pubblicando cose da alcuni mesi, nuove tracce, materiali vecchi e nuovi, alcune date dal vivo. The Night Safari è un gran bel pezzo e ci fa sperare in qualcosa di nuovo e grande in arrivo.
Temples – Exotico: un disco che metti su per caso. I Temples, una di quelle band fuori tempo massimo, che non ha mai brillato eccessivamente, carini si, ma senza strapparsi i capelli. Un ascolto, due, tre: apperò! Pienamente in zona Tame Impala, il disco è un gioiello per le orecchie, una produzione ottimale e tante idee, quasi troppe. Insomma: ci stanno dentro eccome.
Fred again.. Brian Eno – I Saw You: un produttore in area grandi arene, di cassa dritta e un vecchio nome tutelare della musica. Come si siano incontrati, che esperienza sia stata, non è dato saperlo. Chi abbia spinto di più nemmeno, fatto sta che il disco è notturno, silenzioso, emozionante e davvero interessante. Qui siamo in zona XX, volendo ed è grande bellezza.
The Album Leaf & Bat For Lashes – Near: a proposito di coppie. Lui, solitario e artistico chiede la voce di lei, magnetica e magica. Qui siamo in zona elettropop notturno e minimale, lei regala una delle tante interpretazioni meravigliose e la produzione sonora la accompagna bene come non mai. Tra i momenti più emozionali dell’anno.
Giovanni Truppi – Alcune considerazioni: gran personaggio lui. A volte respingente, a volte come in questo caso pienamente accessibile. Ecco, quel diamine di ItPop che ha distrutto le radio italiane potrebbe guardare qui: ecco, si, a questo ci stiamo. Ad un brano accattivante, eppure intelligente, ad un pezzo che vuole farsi cantare da una generazione pur non essendo scemo, anzi, tutt’altro, nelle parole e nella scrittura.
Squid – Swing (In A Dream): gran pezzo e gran video, tra l’altro. Quello degli Squid è, probabilmente il disco postpunk dell’anno, ma in questo caso siamo più in direzione Radiohead (forse quelli di There There). Potente e intelligente.
Sigur Rós – Klettur: un album così così, possiamo dirlo. Non brutto, solo un pò vuoto, un pò asfittico. O forse noi vogliamo altro. Però c’è Klettur: un instant classic, una botta alle orecchie, il ritorno della batteria tribale e della voce che vola, vola lontana sopra agli archi. Ed è subito Islanda, ghiacci, emozioni.
Grian Chatten – Fairlies: che la voce dei Fontaines D.C. fosse pure un ottimo cantautore, fuori dai suoni della band, non era per niente ovvio. Invece si: senza nemmeno troppo tempo passato dal disco della band principale, Grian si scrive anche il primo a proprio nome, vira il suono e centra subito il bersaglio.
Blur – The Narcissist: secondo me un album celebrato più per quello che sono i Blur, che per l’effettiva qualità. In sostanza: di quel disco ne abbiamo parlato tanto, ma forse ci ricorderemo poco. Però il primo (ovviamente) singolo è una gemma melodica assoluta. Tra le vette della discografia, e visto cosa hanno scritto i Blur, non è roba da niente.
The Clientele – Fables of the Silverlink: una band così, di botto. Che d’improvviso, al nono disco in carriera di una discografia che parte negli anni novanta scrive uno dei dischi più interessanti dell’anno, ispiratissimo e intelligentissimo. E che parte con otto minuti di idee, violini, chitarre, emozioni. Misteri della discografia, ma bravi loro!
Art School Girlfriend – Waves: graziosissimo questo disco della musicista del Galles con il nome artistico più bello di sempre. Qui siamo in zona TripHop, per un brano che si stende sinuoso ed elegante, come tutto l’album da cui proviene.
Daniela Pes – Arca: tanto per fare la sparata, questo disco d’esordio apre e chiude la carriera di Daniela Pes. Qualcosa di così incredibile, che pure ha funzionato anche in termini di passaparola, un disco che definire magico è poco. Il finale di Arca, già di suo, è puro piacere musicale. Come sia successo che questo disco sia uscito e diventato un culto, nel 2023, non è dato saperlo. Ma fa niente: è tutto perfetto.
James Blake – Loading: magari sono bolle e non è vero, ma mi pare questo disco sia interessato un pò (troppo) poco. Eppure il ritorno di James Blake alla cassa potente, al lavoro sulle voci è graditissimo e questa Loading dice tanto sulla qualità e unicità del nostro ormai uomo inglese.
The National – Space Invader: grazie, grazie. Grazie per quella seconda parte. Se c’è stato un momento in cui si pensava “ok, dai, ormai hanno detto tutto” si è spento con quello che succede dopo tre minuti e venti di questo brano. Con la potenza della batteria, con l’energia che sembra tornare agli esordi, con la ruvidezza del canto, con il crescendo (come forse mai, per i National). Scusate, per avere dubitato.
Will Butler + Sister Squares – Saturday Night: i due minuti e cinquantadue secondi più divertenti dell’anno. Con ogni probabilità una idea tutta personale (gli ascolti su Spotify non confermano la mia sensazione) ma ogni volta che capita di metterla su sembra di volare tra le vie di New York, in piena notte, tra alcool e amicizie folli, all’interno di un qualche club dove ci si lascia andare.
Sufjan Stevens – Will Anybody Ever Love Me?: qui non diciamo niente. Direttamente nella storia della musica: quattro minuti non possono essere più semplici, emotivi, drammatici, intensi, meravigliosi di così.
Oneohtrix Point Never – A Barely Lit Path: un brano inverosimile. Suoni che si muovono a destra e a sinistra, orchestrazioni, voci, spirali verso luoghi che ancora non esistono. Come si finisca a creare un brano così bello, così alieno, come si possa nascondere fino al minuto 2.30 quello che sta per succedere e poi volare leggeri, non è dato saperlo.
Sampha – Dancing Circles: cosa vuol dire una produzione minimale? Come si scrive un brano con la sola melodia, come si accetta di non farla partire verso territori facili, tanto che la batteria che sembra dover arrivare da un momento all’altro c’è solo per qualche battito nel finale che non esplode realmente mai. R&b, forse, sicuro tanta classe.
The Kills – 103: riverberi ovunque e un riff nel ritornello che paiono tornati i White Stripes. Il disco più a fuoco del duo, dopo i primi e un brano assolutamente sensuale e riuscito.
Lol Tolhurst, Budgie, Jacknife Lee – Los Angeles (feat. James Murphy): il miglior nuovo brano degli Lcd Soundsystem, anche se non sono loro. Doppia batteria di due leggende, interpretazione cosmica di James Murphy ed ecco la polaroid al negativo di “New York i love you, but you’re bringing me down”. Là amore e contemplazione, qui energia e rifiuto. Altro instant classic.
Sun June – Eager: Un bel disco e una introduzione incredibile, per questa band poco nota dalle nostre parti. Splendida vocalità e atmosfere, per un brano di classe assoluta.
Keaton Henson – Envy – Acoustic Version: come scritto in una delle ultime newsletter, non è ora di dire che Keaton Henson è uno dei grandi autori di questi anni? Qui spoglia Envy, dal suo ultimo album, in un brano che può fare sciogliere anche il cuore più duro. Damien Rice, se non vuoi perdere il trono è ora di tornare a scrivere.
Avalon Emerson – Sandrail Silhouette: Infine, ed è bello sia così, un brano solare. Lei dj di cassa dritta si scopre autrice e raffinatissima in un elettropop di grande classe. Un nuovo viaggio ci aspetta nel 2024 e siamo ben felici di farlo con Avalon nelle orecchie.
10 Film
1. Babylon
2. Everything All At Once
3. Gli spiriti dell’isola
4. The menu
5. Oppenheimer
6. Respiro Profondo
7. Una storia d’amore e desiderio
8. Aftersun
9. Una donna promettente
10. The Killer
Un anno di film belli, indubbiamente e l’anno in cui il cinema è tornato sulla bocca di tutti, in maniera popolare.
In questo contesto, andare a guardare ai migliori film visti (quasi tutti del 2023, con qualche recupero) è un certo piacere.
Vince Babylon, film pure imperfetto eppure un vero e proprio omaggio all’arte del cinema. Eccessivo, spregiudicato, folle nella prima parte e poi man mano più dimesso, lungo, estenuante, bellissimo.
Da ricordare Everything Everywhere All At Once e Gli Spiriti dell’Isola, il primo si prende un sacco di Oscar e insegna come si può raccontare una storia (banale) in maniera totalmente anticonvenzionale, sia per struttura che a livello visivo. Il secondo lascia tanto amaro in bocca, solo che poi nei mesi fa pensare più e più volte, segno di un film assolutamente crudele che sa lasciare il segno.
Il resto è pieno di bei film (The Menu va dritto in coppia con Gli Spiriti dell’Isola), c’è un documentario incredibile che non può che portare alle lacrime (Respiro Profondo, su Netflix, una grande produzione che racconta il mondo dell’apnea, ma anche delle relazioni tra gli esseri umani) e se vogliamo parlare di un film di nicchia, “Una storia d’amore e desiderio” racconta la diversità culturale e tra uomo e donna in maniera davvero inedita: da recuperare (su piattaforma Mubi, al momento).
5 Libri consigliati letti nel 2023
Autostop con Buddha – Will Ferguson è un libro che si può odiare o amare, perché racconta uno spaccato lontano e distante: un lungo viaggio vissuto a piedi (!) in un paese in cui l’autostop è vicino al reato (!!), ovvero il Giappone, vissuto realmente, cartina alla mano, da un estremo all’altro. Come è naturale è più un viaggio interiore che esteriore, più di conoscenza di umanità e luoghi, che non una guida turistica. Ed è dunque abbastanza imperdibile specie per il fatto di sapere raccontare un paese da dentro, più che dai recinti turistici.
Il libro della pioggia – Martino Gozzi Questo libro racconta, in sostanza, poco, o al contrario tutto. Non c’è niente di strano: è la storia di una persona che viene a mancare. Oppure no, è la storia di chi scrive in rapporto a chi è mancato. Oppure no, è la storia della musica e del suo essere un collante di esperienze sociali e di vite. Oppure no, è il racconto di un padre di fronte alle domande importanti di una bambina. Oppure no, è uno di quei libri che parlano di sentimenti, amicizia, dolore, felicità. Oppure no: è un libro da leggere, perché sa prenderti a schiaffi, pur parlando di qualcosa di quotidiano.
Una vita come tante – Hanya Yanagihara Io un abisso così non l’ho (quasi) mai affrontato. Un caso editoriale che non ha senso, un libro che vende tantissimo senza motivo, o meglio il motivo c’è ma non è il motivo che fa scegliere alle persone di leggere un libro. Quattro amici, una New York al presente, quattro vite e soprattutto una centrale, un perno, quella di Jude, una vita raccontata lungo oltre mille pagine, qualche decennio, dal primo all’ultimo istante. C’è davvero troppo, è tutto difficilmente affrontabile, la quantità di umana sofferenza all’interno è pari a quella di una intera guerra, di un genocidio, di una strage. Eppure è quanto di più umano esista. Da leggere, soffrendo, odiandolo, ricordandolo poi. E non rileggerlo mai più.
Meet me in the Bathroom – Lizzy Goodman: Finalmente in italiano un libro molto particolare e di nicchia. Parliamo della scena musicale americana, anzi, di New York, dei primi anni duemila: dagli Strokes a Lcd Soundsystem, dai The Rapture agli Interpol. Un cosmo folle, tutto da ricostruire (e ricostruito) tramite interviste multiple che scorrono, dialoghi che compongono angoli di un quadro fortunato, di un istante in cui New York diventa il centro sonoro (e in parte estetico) del mondo.
Fedeltà – Marco Missiroli: Una gran bella sorpresa. Trama semplice (una situazione equivoca, il dubbio di un tradimento) che porta allo scavare dentro ad una relazione matrimoniale. Quello che succede da quel dubbio in poi è il motore di una serie di cambiamenti personali che raccontano tanto di quelle due persone, marito e moglie. Davvero bella la scrittura: una videocamera che si muove su punti di vista diversi in totale continuità, passando come a volo d’uccello da un personaggio all’altro. Conta più quello che succede nel mezzo che inizio e fine: una efficacissima lama che passa a scavare lungo le fratture di una relazione.