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Air, Fabrique, Milano, 25 febbraio 2024
È finita così: siamo andati per ascoltare il rifacimento integrale di “Moon Safari” e siamo tornati a casa con un vero concerto degli Air di come non se ne vedevano da tempo. Spiegherò meglio questo concetto che potrebbe sembrare una sottigliezza o una tautologia ma che così non è: non è scontato che un live (e un tour) del genere fosse davvero sentito. Gli Air è da 15 anni – e cioè da quel deludente “Love 2″ – che navigano insieme con calma e circospezione, producendo pochissimo (il solo “Le voyage dans la lune” come album inteso in senso stretto) e suonando altrettanto poco. Dopo il tour del 2010 (noi li vedemmo a Bologna) fecero delle date (senza un album da promuovere) solo nel 2016 e 2017, e lì non sembravano nemmeno molto in palla, e poi stop. Il buio. Niente. Non pervenuti. Li avevamo intercettati al Labirinto della Masone e al Primavera appunto nel maggio/giugno 2016 e ci erano sembrati un po’ fuori fase, un po’ freddi. Evidentemente non c’erano con la testa. Da allora era legittima la domanda se non si fossero sciolti: entrambi hanno continuato con i loro progetti solisti e ciò fa capire che non hanno un problema con la musica, ce l’hanno (forse) con l’essere duo. In questo contesto, l’annuncio di un tour per i 25 anni di “Moon Safari” in cui il loro capolavoro d’esordio veniva suonato nella sua completezza, beh, poteva apparire un po’ come uno specchietto per le allodole. E infatti i biglietti per la data di Milano sono andati subito sold out, così come per le altre date europee, e subito si è rilanciato con un ulteriore giro estivo. Puzzava un po’ di bruciato. E invece…
E invece è accaduto che ieri sera al Fabrique i due si sono ritrovati sul palco con la voglia di suonare insieme: hanno aggiunto semplicemente un “solo” batterista (la formazione live degli Air è variata negli anni in numero e modalità) e hanno cominciato a fare quello che sanno fare. Anzi, di più. Si sono finalmente (auto)legittimati in quella “storia dell’elettronica” di cui già facevano parte, ma che forse li considerava laterali. Innanzitutto hanno curato in tal senso la struttura del palco e i visuals: il tetto riflettente poco più in alto rispetto alle loro teste creava un effetto “pista da discoteca” con dei visuals eleganti e molto stile elettronica, punti e linee in tratti essenziali e decisi. Non a caso prima del concerto per scaldare il pubblico avevano messo su i Kraftwerk. E, altrettanto di proposito, hanno concluso il live con quella dichiarazione programmatica che è “We Are Electronic Performers”. Ecco, in questa cornice la riproposizione completa di “Moon Safari” è stata solo un episodio all’interno di una più significativa e complessa esibizione in cui gli elementi elettronico-psichici sono stati elevati al massimo quando serviva ed essenzializzati al minimo quando non era necessario. Esempi? All’inizio gli Air hanno riproposto pedissequamente, e lì non è scattata una gran emozione, ma si sta parlando per fortuna solo delle prime due “La Femme d’Argent” e “Sexy Boy”, mentre il più delle volte hanno re-indirizzato il concetto sotteso ai brani (l’eco di voce di Beth Hirsch campionato su nuove parti di synth arpeggiate nella rielaborazione di “All I Need”) oppure asciugando gli strumenti in gioco (la parte di pianoforte suonata da Godin in “Le Voyage de Pénélope” è divenuta la guida di un brano invece monopolizzato, nella versione in studio, dal Moog).
Ma, diciamolo, “Moon Safari” è scivolato via bello ma abbastanza prevedibile, suonato con perizia ma la parte ancora più emozionante è arrivata dopo. Come non definire epocale l’interpretazione di “Run”? Ecco, quella canzone, una delle meno conosciute dei nostri, espressione del “periodo-Godrich” del duo (e quindi dell’infatuazione per “Kid A”), ha avuto finalmente la sua definitiva consacrazione: tutto il pubblico si è ammutolito e la platea non ha potuto fiatare risucchiata nel loop del vocoder e negli svolazzi eterei del sintetizzatore nel ritornello. Lì non eravamo con gli Air, fluttuavamo con il duo francese nel cosmo, perduti in qualche stella lontana, la nostra mente là e il nostro corpo al Fabrique. Ma lo stesso effetto gli Air sono riusciti a ricrearlo anche nelle coinvolgenti “Don’t Be Light” e soprattutto nella conclusiva “Electronic Performers”: un’apoteosi di strings sintetiche erano le strade lungo le quali siamo riusciti ad evadere da noi stessi e a catapultarci su un qualche pianeta lontano, non sulla vicina Luna, ma molto più in là, alla ricerca di una risposta per tutto. Una via di uscita laterale, un qualche inviluppo nella materia dell’universo che facesse trasparire una luce al di là di essa, uno sguardo lontano. Un sorriso. Il nostro quando siamo usciti dal concerto.
(Paolo Bardelli)
La femme d’argent
Sexy Boy
All I Need
Kelly Watch the Stars
Talisman
Remember
You Make It Easy
Ce matin‐là
New Star in the Sky
Le voyage de Pénélope
Radian
Venus
Cherry Blossom Girl
Run
Highschool Lover
Surfing on a Rocket
Don’t Be Light
Encore:
Alone in Kyoto
Electronic Performers