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Ho provato a far “decantare” qualche settimana l’ultimo album degli Idles, TANGK. E mentre finivo per ascoltare sempre altre cose – da Brittany Howard agli Smile, lavori appunto da scoprire con pazienza, ripagata – il quinto disco dei bristoliani è rimasto indietro. Ad un senso di noia e ricerca a tutti i costi dell’effetto sorpresa, che se da una parte ha regalato loro il numero 1 delle classifiche e sold out un pò ovunque, dall’altra ha celato a parere del sottoscritto la magra vena compositiva che da “Ultra Mono” (2020) li sta limitando.
Non bastano il video con Chris Martin e l’A. I. di “Grace” o una “Roy” che flirta con il soul alla maniera di una “The Beachland Ballroom” di ben altro spessore, o i petardi lanciati da “Gift Horse”, che live promette scintille, e dal riempitivo “Hall & Oates”. Mi domando perchè si chiamano ospiti gli LCD Soundsystem se il fattore si scopre irrilevante (“Dancer”, copia-incolla dello stesso riff dagli esordi), perchè vengono coinvolti Nigel Godrich e Kenny Beats per insegnare l’hip-hop a Joe Talbot per “Pop Pop Pop”, se mancano le canzoni, la personalità degli Idles, la loro lotta socialista.
A evitare l’insufficienza ci pensa un trittico finale degno delle cose migliori, una “Monolith” tra Twin Peaks e lo slow-core, “Jungle” dall’impronta quasi reggae che esplode in un refrain notevole e soprattutto “Gratitude”, di cui Talbot svela il modus operandi e i contrasti in fase di produzione: “This was a real struggle. Bowen [chitarrista e produttore del disco] was really obsessed about doing interesting counts with the beats. I just wanted to make people dance and create infectious beats. We were coming from very different angles, but we loved this song that Bowen had made. We hung on to it for ages, and then Nigel really helped us out, he created spaces and bits here and there by turning things down and moving everything slightly. Then Kenny helped me out, and got rid of the stupid counts, I think, and helped me write it on a 4/4 beat. And then they changed it back.” [da Apple Music] La voglia di uscire dalla propria comfort zone in questo caso c’è stata, well done, occorre però tornare a fare gli Idles, non gli Arcade Fire di “Everything Now” (un altro disco n.5).
Ricordo come ai tempi bastonavamo gli U2 di “Pop” o gli Oasis di “Be Here Now”, lavori ben più validi di questo TANGK ma che si dovevano confrontare con i Blur, i Verve e i Radiohead di turno. Forse che gli Idles stanno ottenendo il massimo con il minimo sforzo, soffrendo la concorrenza di Murder Capital e Sprints che puntano ancora sulla freschezza che rendeva il post-punk così eccitante? Un effetto stanca d’altronde lo avevamo già avvertito, e questo è un nuovo indizio.
60/100