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Il co-fondatore dei Dinosaur Jr inizia il suo nuovo album solista cantando “Everybody made a fuss / Hard to know it’s one of us” (“Can’t Believe We’re Here”) e sembra dirci che dopo più di 30 anni essere ancora se stessi non è così ovvio.
La sua musica, in solo o in gruppo, ha sempre suonato come lui sembra essere: disinvolta ma intricata, coinvolgente ma guardinga e tipicamente dal sapore misto tra rock classico e hardcore-punk ed è sempre riuscita a far sciogliere l’anima sia ai vecchi nostalgici con nel cuore Neil Young che ai più giovani dei grunge years.
La title track rispecchia l’atmosfera dell’album. La scrittura è attenta e la chitarra si prende tutto lo spazio che deve due volte, in una progressione che alla fine risulta ciò che ti aspetti, il che non è male ma si vorrebbe sentire di più della solita formula.
Questa sensazione rimane per la maggior parte dell’album: l’inizio con un groove sfalzato, testo semplice con toni personali (incertezza, smarrimento e paura della perdita), inevitabile conclusione con un assolo di chitarra. È uno schema che ritroviamo in quasi tutti i brani che sembrano messi in una sequenza come se vogliano trasformarsi ognuno in quello successivo.
Mascis alle volte gioca con lo schema ‘comfort’ inserendo ad esempio la steel guitar di Matthew “Doc” Dunn ottima in “I Can’t Find You”, quinta traccia di dieci. Qui J inanella una ballata, come solo lui sa fare, ed è il momento più significativo del lavoro anche se sempre nei confini del quel che ci si aspetta con il dovuto assolo finale fin troppo previsto.
“Set Me Down” punta di più sulle percussioni e si entra in un terreno dove il lavoro della chitarra è davvero notevole, per una volta Mascis la usa di supporto al cantato; la chitarra, questa volta sì, urla il suo solo e subito torna a supportare il cantato formando un arco che interagisce con il testo finché non diventa parte del finale che dà qualcosa, finalmente, di emotivo.
Nell’arco dei 45 minuti del disco i brani si fondono come se fosse un solo flusso, ma ho paura che questo lavoro, privo di veri momenti chiave verrà riposto sugli scaffali dei soli completisti e presto dimenticato dagli streamers.
“What Do We Do Now” non lo si può classificare come “brutto” ma piacerà veramente solo a chi la chitarra e la voce di J Mascis ricorda casa, la gioventù o altro però dopo quaranta anni di skateboard uno scivolone si può perdonare.
60/100
(Raffaele Concollato)