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È da almeno 6 anni che i junodream girano attorno alla “forma-album”. Non è un caso, siamo in tempi di singoli ed EP sparati ogni mese per mantenere alta l’attenzione su di sé, ma per fortuna la lunga distanza dell’album è ancora importante e quantomeno ci permette di far capire quali band siano diventate grandi e quali no. Del resto la band di stanza a Bristol sta facendo tutto da sola e anche il suo primo “Pools of Colour” esce autoprodotto nonostante i buoni numeri su Spotify (quasi 200mila ascoltatori mensili) e un tour appena partito in UK che sta registrando quasi tutti sold out.
La formula è semplice ma non lo è: prendere il meglio degli anni ’90 a livello di forma canzone alternativa, in particolare guardando in maniera quasi ossessiva ai Radiohead di “Ok Computer”, senza tralasciare i fondamentali (il loro nome deriva da una citazione pinkfloydiana) e robe più elettroniche come Massive Attack (non dimentichiamoci la provenienza comune) e Air, citati da loro stessi come artisti di riferimento. A mio parere il talento c’è ed è marcato, ma questo lo scrivevo anche nel 2021 quando li indicavo in “Questo Spacca!” quasi ipotizzando una certa rinascita di un brit-pop che non poteva non guardare ai Nineties come ultima esperienza davvero elettrizzante per la terra di Albione.
Seppure è indubbio che lo shoegaze di “The Oranges” e la paranoidandroidiana “Fever Dream” non esprimano un suono totalmente contemporaneo quanto più vicino a un ideale che oggi potremmo definire quasi vintage, ce n’è bisogno di band come i junodream, quanto meno per la possibilità espressiva completa (ci si sta riferendo a un concetto quasi old di suonare live quasi tutto senza ricorrere a basi di sorta) in concerto e quindi l’obiettivo emozionale all’interno di una tavolozza di colori (loro evocano nel titolo delle “piscine di colori”) composita.
Se si eccettua il quasi-plagio ai Kasabian di “Death Drive” e una generale derivatività che è il vero loro limite (non ditemi che “Kitchen Sink Drama” non vi ricorda “Jigsaw Falling Into Place”), questo debutto dei junodream è un punto di partenza importante per loro e per altri ragazzi come loro. Certamente si devono scrollare di dosso le influenze come pioggia sulle spalle e guardare davvero cosa c’è dentro di loro, come ad esempio nella personale “Happiness Advantage”, ma se lo faranno i risultati non tarderanno. E potranno avere eco in questo decennio, e non solo in quella Inghilterra così presente nel loro sound.
73/100
(Paolo Bardelli)