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#VillageAvanguard
Un “richiamo” a sessant’anni dall’uscita di “Out To Lunch!” di Eric Dolphy ; una recensione che non è una recensione (ne sono consapevole) per un capolavoro che però, secondo me, si poteva tentare di descrivere solo cosi. Seguite le – nove! – note a fondo pagina per uscire dal sogno – se proprio volete – e rientrare nella realtà.
Infilo cappotto e cappello e mi dirigo verso la porta dell’ufficio, con il passo sicuro e brioso di chi sa che sta per staccare, almeno per un po’. Scendendo le scale tiro fuori il portafoglio dalla tasca e sfilo un biglietto da visita con stampato sopra un delfino con in bocca un clarinetto. “Da Enrico“, recita il cartoncino. “Boh”, pensai. “Proviamo”.
Con l’aria fredda e sferzante attorno, mi avvio verso una strada parallela al mio luogo di lavoro; una via spaziosa, ma stranamente buia, motivo per cui non l’avevo mai notata prima (1).
Pochi passi e un’insegna dal color blu mare mi avverte che sono arrivato a destinazione. Spingo la porta pitturata di fresco ritrovandomi così in un ambiente che, a prima vista, mi pare quello di una classica osteria: nuvole di fumo annegate in un buio color marrone scuro. Tanto i clienti mica han bisogno di vedersi: conoscono a memoria le facce di tutti! Tutto nella norma quindi, se non fosse per una miriade di cianfrusaglie sui muri, una disposizione dei tavoli romboidale che mi risulta quantomeno curiosa ed un assurdo orologio ad otto lancette. Vengo accolto da un cameriere giovanissimo che mi pare di aver già visto da qualche parte.
“Desidera?”
“Un tavolo per uno, per favore“.
Lo seguo, non potendo fare a meno di notare la sua andatura dinoccolata. Qui inizia il primo balletto, dato che vengo sballottato in giro per il locale prima ancora di potermi sedere.
“Strano”, penso: “Tranne qualche avventore curioso, il posto non pullula certo di clientela…”. Dopo aver zigzagato tra i tavoli, arriviamo finalmente destinazione. Appena seduto, mi faccio portare il menù; me lo consegna, con molta gentilezza, un altro cameriere. Porta un cappello e una barba abbastanza lunga: a vedere bene, tutti quelli che lavorano lì portano cappello e barba (2). “Mah, sarà un vezzo loro…”. Oggi mi sento in vena e decido di prendere primo, secondo e dessert. Intanto la radio poggiata su una mensola pericolosamente pericolante diffonde senza rimorso musica che io, che di musica non so nulla, trovo angolarmente assurda ma stranamente perfetta per il locale.
Visto il clima non proprio clemente, come primo ordino una zuppa. Nemmeno il tempo di fiatare che il piatto plana sul mio tavolo: in cucina devono essere organizzati alla grande! La prima cucchiaiata mi avvolge con morbidezza e calore, ma già alla seconda imboccata sento le papille sciogliersi in un effluvio di sapori mai sentito prima. “Accidenti! Questo cuoco la sa lunga…”. E’ un sapore sinuoso e penetrante, che riesce sia a scaldarmi le membra quanto a rinvigorirmi, con quel suo gusto fortemente speziato. E non vi dico quando ho inzuppato il primo crostino di pane nero, dalla profondità croccante cosi inusuale! Messi insieme, poi, vanno proprio all’ unisono…(3)
Neanche il tempo di riprendermi che il giovane dinoccolato – una vera furia, in quanto a tempismo; e dire che pare camminare con una gamba sola, come un Long John Silver metropolitano – mi serve il secondo: una tagliata “Gazzelloni”. Un piatto che sa indubitabilmente di carne, ma ad ogni assol… ehm morso si aggiunge un profumo non notato.
Chiamo il cameriere – ne arriva un altro ancora! Questo locale è una girandola…
“Scusi..”
“Mi dica…”
“Ma perché “Gazzelloni”…”
“Il piatto si chiama “Gazzelloni” in onore di uno dei maestri del nostro chef, un cuoco italiano, originario del Lazio…(4) ”
“Ma non mi dica… beh, molto buono…”
“Grazie mille, signore. Per questo piatto, l’aiutocuoco é fondamentale…(5) ”
Sarà la mia inguaribile magrezza, ma mi sento pieno come un otre: eppure conservo una voracità quasi intellettuale per il dessert. Piatto che, stranamente, stavolta arriva abbastanza in ritardo; forse, però è solo un impressione derivante dalla grande abbuffata appena fatta.
Casca una forchetta per terra e mi viene quasi un colpo, tanto ero oniricamente immerso nell’atmosfera del locale. All’improvviso escono i camerieri al gran completo con in mano una torta, improvvisando la più buffa marcia che abbia mai visto:
“Ma che diavolo…”
Per fortuna servono il cliente al tavolo vicino al mio. Non avevo proprio voglia di scoprire come avessero fatto a sapere che oggi compio gli anni…
Il mio dessert arriva solo dopo quello del festeggiato. Una crostata….verticale! Sento quasi di averne abbastanza, eppure il dolce mi sbalordisce ancora, mio malgrado: qui percepisco nettamente ogni ingrediente, uno per uno, in successione. Una curiosa impudenza rispetto alle pietanze precedenti, così abilmente amalgamate; eppure la novità papillare mi pare tanto eccellente quanto quella degli altri piatti (6).
Se poi pensate che non abbia annaffiato il lauto pranzo con nulla, beh vi sbagliate di grosso: sul versante del beveraggio so già in partenza di aver scelto un qualcosa di strano. E’ una birra dal solito nome improbabile, servitami dall’ennesimo cameriere, il più strano di tutti: occhi che paiono pietre risonanti, mani lunghissime e affusolate. Nell’elencarmi le birre, mi mostra persino le bottiglie e pare trovi un gusto quasi bambinesco nel farle tintinnare (7). Inutile dire che la birra era fortissima.
“Mangiato bene?”
“Era tutto eccellente… faccia i miei complimenti allo chef…”
“Mi dispiace avvisarla che abbiamo finito il caffè… e che la cucina sta per chiudere (8)”
Mi sembra assurdo, ma non mi pongo più alcuna domanda.
Alla cassa, constato con piacere che tutta quella roba mi é costata 10,99. Un affare per me: per loro non lo so e non mi interessa.
Esco dal locale con l’andatura mezza incerta di chi è un po’ alticcio. I leggeri vapori dell’alcool non mi impediscono però di notare che nella via ci sono altre osterie e bettolacce: “Osteria del Piu Corto”, “Sapori dei Fiumi”, “Alla Collina” (9) e cosi via lungo la strada. Scorgo il cameriere dai lineamenti così giovani da sembrare un bambino: sta sfrecciando da un locale all’altro. Mi accosto ai vetri di uno di questi con una curiosità ormai prossima al sardonico e… lo vedo servire anche li! E’ decisamente troppo! Torno in ufficio completamente stranito.
“Com’era il pranzo?”, mi chiede la collega.
“Come non ne ho mai fatti e mai ne farò più, credo…”. Lei mi guarda sottecchi, come a dirmi che è abituata a queste mie risposte. Mi avvio verso la scrivania. Ho un atto da fare. Metto su “Out To Lunch!” di Eric Dolphy, sia mai che mi suggerisca qualche argomentazione geniale…
(Edoardo Maggiolo)
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(1) “Out To Lunch!” fa parte di quel prezioso scrigno di dischi “avantgrade” pubblicati dalla Blue Note, etichetta storicamente legata al sound più convenzionale dell’hard bop. Non solo: tra questi titoli il lavoro di Dolphy e probabilmente il piu riuscito e amato. Merito di tutto l’ensemble ma anche del leader, clarinettista, flautista e altosassofonista dall’immaginazione sconfinata e dalla voce strumentale tanto scioccante quanto inconfondibile.
(2) Riferimento al primo brano del disco “Hat And Beard”, dal ritmo sinuoso e incerto. Dedicata a Thelonius Monk.
(3) La “zuppa” rappresenta il secondo brano “Something Sweet Something Tender”, imperdibile ballata notturna. Qui i contrasti timbrici la fanno da padrone e il finale all’unisono di clarinetto basso e contrabbasso è uno dei punti più alti del catalogo Blue Note!
(4) Severino Gazzelloni fu un notevolissimo flautista italiano, considerato uno dei pioneri della riscoperta del flauto in epoca moderna. Collaborò con l’Orchestra della RAI e, dopo la Seconda Guerra Mondiale, insegnò per molti anni ai corsi estivi di musica contemporanea a Darmstadt. Un brano del disco é a lui intitolato.
(5) Nel brano la tromba di Freddie Hubbard svetta su tutti i notevolissimi solisti del disco.
(6) Qui si allude alla titletrack, una surreale marcetta che si beve ogni forma convenzionale con un giro di soli d’alta scuola.
(7) Il “tintinnare” e quello del vibrafono di Bobby Hutcherson, autore in questo disco di una prova strumentale squisita. Il vibrafono, con i suoi toni sognanti e misteriosi, risulta fondamentale nel dare al disco quell’aria tanto eterea quanto grottesca che ne ha fatto la fortuna, affascinando generazioni di ascoltatori.
(8) Riferito al fatto che per tantissimo tempo si è creduto che di questo disco non esistessero take diverse da quelle pubblicate, come piu volte affermato da Rudy Van Gelder e Alfred Lion. Lion, boss della Blue Note, disse che “La musica era tanto stramba che neppure i musicisti all inizio ci capirono molto , eppure fecero un capolavoro. Fu elettrizzante vederli all’opera”. In realtà due take alternative dei primi due brani sono state scoperte nel 2013.
(9) A fare compagnia a Dolphy nella “squadra” di avanguardisti Blue Note abbiamo, tra gli altri, il “piu corto” Wayne Shorter, Sam Rivers – i fiumi… -, Andrew Hill – collina… – e Tony Williams, che qui é il cameriere furetto che serve più ristoranti contemporaneamente. In effetti, Williams fu impiegato varie volte in queste sedute dal carattere più sperimentale della Blue Note e ne firmò anche un paio a suo nome – il bel disco “Spring”, ad esempio.