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Yard Act, Locomotiv Club, Bologna, 13 Aprile 2024
Rimane sospesa nell’aria l’energia.
Come una finestra che sbatte, all’improvviso, vedi la tenda alzarsi, senti l’aria entrare e boom, la porta della stanza prende velocità e sbatte, senza quasi avvisare, un boato forte che ti lascia impreparato, stordito.
Cos’è successo, ti chiedi, quando si è levato questo vento, ti chiedi un attimo dopo.
Ecco: questi sono stati gli Yard Act, che erano passati, con il primo disco, al Todays (r.i.p?) e all’Ypsigrock all’interno del contesto di due festival estivi e ora, invece, con il secondo recentissimo album arrivano finalmente a poter ambire a due locali tutti per loro, il Locomotiv Club di Bologna e la Santeria di Milano. Le foto sono del nostro Giorgio Lamonica.
Possiamo quindi prenderci l’onore, con un pò di furbizia, di dire che abbiamo visto la prima, vera, data in Italia del gruppo capitanato da James Smith? E, diamine, se ne usciamo entusiasti.
Ce l’abbiamo ancora addosso tutta l’energia, l’impeto che ci è arrivato addosso da un’ora e venti di live praticamente senza soste, dove ogni finale di canzone manteneva il seme di quella successiva, dove la pausa prima del bis (due minuti netti o forse tre) ha visto un mini djset live di uno dei componenti in direzione elettronica, dove ogni dialogo con il pubblico era veloce, ritmato, intenso.
Dove in un attimo, a metà live, esce una ruota da girare con alcuni titoli di canzoni, vieni tu del pubblico, ecco la canzone e con il ragazzo scelto ancora sul palco la batteria è già pronta in scena a partire.
Certo: il gruppo, su disco, è solo un buonissimo gruppo, ruba di qua e di là (dal post punk, dall’elettronica, per dare vita ad una serie di ottimi brani, ma dal vivo, in formazione a sette è semplicemente devastante.
Non ricorda le altre formazioni post punk, perché non è imponente o cupa, è ironica e divertente, non ha quel piglio da chitarroni ma oggi, almeno, sembra più gli Lcd Soundsystem moderni, tanto che spesso c’è un pò l’odore di una Drunk Girls, scritta da James Murphy.
E nel giro di pochissimi minuti (tempo un attimo e il pubblico tra la nuova “An illusion” e la vecchia “Dead horse” è già innamorato) si crea una connessione fortissima tra tutti.
Gli Yard Act, dal vivo, non sono una “post punk band” ma grazie alla formazione allargata (vedi le due coriste, ballerine e strumentiste) e ad una certa revisione sonora, sono più un meteorite tra dance e rock, tra suggestioni disco-soul e parlato sociale che rimane impresso nelle orecchie e nel cuore.
James Smith, voce e cuore della performance è, in maniera strana, sia palesemente “sfigato”, perdente, che magnetico e in pieno controllo.
Ha l’estetica di uno che parla, birra alla mano, di cose di tutti i giorni, eppure riesce ad avere la credibilità, in fondo al live per arringare tutti sulla fortuna di essere liberi, girare per il mondo ad avere la possibilità di vivere questo sogno, possibilità che altri persone oggi, come quelle dell’Ucraina, del Sudan o della Palestina non hanno.
E quando lo dice, non percepisci retorica: lo vedi, battersi il microfono sul cuore, lo vedi dire qualcosa a cui crede veramente, che sgorga dal cuore.
Forse è l’età, non sono un gruppo di adolescenti, forse è perché la band non parla di rivolta giovanile ma di rabbia sociale, che colpisce così forte.
Forse è nell’innegabile talento che porta dalle hit come “Dark Days” (che fosse uscita nel 2004 o 2005 avrebbe ribaltato i club alternativi) a instant classic come “100% Endurance” fino alla, addirittura, esclusa dall’ultimo disco ma protagonista del finale come “The Trench Coat Museem” che diventa una gigantesca chiusura finale di minuti e minuti, dove rientra sul palco anche Murkage Dave, apprezzatissima apertura (sentitevi “Please Don’t Move to London It’s a Trap”) e il pubblico salta, applaude, si esalta, esplode.
Parlavamo di energia sospesa nell’aria, all’inizio e quando finisce il concerto se ne sta lì sospesa: la vedi nei commenti, negli sguardi, nei sorrisi, nei visi accaldati da una giornata di estate imprevista, anche se è solo aprile.
Ci avevamo scommesso qualche annetto fa, all’epoca di quel “Dark Days Ep”, ma per quanto assurdo sono passati solo tre anni: due album dopo, perlomeno dal vivo, gli Yard Act sono una delle band da vedere dal vivo oggi.
Fidatevi: meno riti celebrativi di band o dischi del passato.
Un piccolo club, qualche centinaia di persona e una energia invisibile ma incendiaria: questa è (una di quelle cose che) oggi quello che dovreste vedere.