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Nessuno è riuscito a scampare, nelle ultime settimane, al fittissimo chiacchierare intorno alla discussa reunion dei CCCP Fedeli alla linea. Come è stato impossibile sottrarsi al giro di opinioni riguardo alla scelta di organizzare questi concerti -e, inevitabilmente, farsene una propria- anche un salto nella memoria per ricordare e tornare sulla produzione degli artisti emiliani.
Trattandosi di un Throwback Thursday, eviterò di dire la mia sulla necessità di azioni performative così caratterizzate come quelle dei CCCP oggi, e sul mutamento dei simboli che questi mettono in scena. Quello di cui mi interessa parlare, e su cui più sono tornato in queste settimane, è più l’operazione di produzione dei nostri, con Ferretti in particolare. Negli anni ho sempre continuato a pensare Ferretti come uno dei maggiori autori di liriche in italiano, come pure uno dei migliori vocalist.
La poetica di Ferretti in cui si mischiano riferimenti storici, religiosi, poetici, filosofici e di attualità è un percorso unico all’interno della canzone italiana, e più vicino a pratiche e stili della neoavanguardia italiana che ai parolieri per musica. Una vena autoriale che si avverte fortissima, soprattutto nel suo percorso d’evoluzione lungo venticinque anni nel quale si può sempre riconoscere la sua penna senza avvertire un ripetersi di strutture e clichè.
Tra le varie anime della vita artistica di Giovanni Lindo Ferretti, composta principalmente dalle sue tre esperienze in gruppo e qualche sparuto progetto in solo, quella che probabilmente è stata meno trattata potrebbe essere anche la più interessante. Parlo dei PGR (Per Grazia Ricevuta), ultima delle reincarnazioni dei CCCP/CSI che ha avuto vita nei primi dieci anni del XXI Secolo, anni letti e digeriti con il solito piglio ‘ferrettiano’.
Oltre che per il solito insindacabile gusto personale, credo ci siano i presupposti per definire quella dei PGR come il segmento più interessante di questa produzione. Intanto, la parte strumentale: mai la reale protagonista dei progetti di GLF se non nei C.S.I. (per questo, a mio avviso, la parentesi di gran lunga meno interessante), affronta un processo di riduzione e di ‘sottomissione’ al testo. In particolare, il primo album self titled del 2002, prodotto magistralmente da Hector Zazou. Complice anche una nuova cornice stilistica pienamente elettronica e non più rock questo disco ci consegna il primo vero esempio di canzone ‘d’autore’, non più così strettamente legato alla formula pop-rock del precedente supergruppo. Ancora più fortemente nei seguenti “D’anime e d’animali” (2004) e “Ultime notizie di cronaca” (2009) in cui, nonostante la ripresa di stilemi e sonorità rock, sempre maggiore è l’intenzione autoriale, limitando i momenti melodicamente importanti a esigenze testuali piuttosto che a orecchiabilità del caso, fini a sé stesse.
In questi tre dischi si avverte il Ferretti più maturo e diretto, che fa i conti con la sua ritrovata identità di abitante dell’Appennino tosco-emiliano, le sue ‘cronache famigliari’, il suo rapporto con la fede e con il mondo moderno, attraverso l’utilizzo di stile poemico o polemico, epico o basso, immanente o in forma di preghiera. Questo alternarsi mai programmatico tra uno stile civile e uno ispirato alla produzione religiosa, già sperimentato -con poco successo perlopiù- nei precedenti gruppi, rappresenta il punto di arrivo di un autore, ed è sconcertante quanto poco si parli di questa importante parte della sua produzione nei discorsi relativi a questo percorso artistico in favore invece delle sue incarnazioni più iconiche od orecchiabili.
La produzione dei PGR ci svela l’antologia di un autore compiuto, pronto a esporsi e mai schierato artisticamente, con un’intelligenza e un’arte sicuramente fuori dal comune, fattosi classico e padre illegittimo di numerose schiere di emuli, e del quale saperne riconoscere le caratteristiche per riuscire a evitarne le imitazioni, come sempre quando si parla di classici, percorsi unici che non possono che bastare a sé stessi.
Vi invitiamo quindi a (ri)scoprire i tre dischi dei PGR, questa ‘cronaca del ritorno’, odissea che ci racconta in musica e versi della vita di un uomo, tra i più importanti -e controversi- protagonisti degli ultimi 40 anni di musica italiana, e il suo fare i conti da abitante d’Appennino con la sua genealogia ancestrale. “Fui monaco, guerriero, eretico albigese, bandito/ campai d’abigeato / per secoli scomparso dalla storia / ne conservo amorosa memoria”. Per dirla con le sue stesse parole: “Come gli avi miei, barbaro / Come gli avi miei, bastardo / Barbaro, legittimo bastardo”.