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Con l’approcciarsi della fine di giugno è tempo di bilanci di metà anno musicale: come ormai da tradizione, abbiamo chiesto alla redazione di scegliere il disco preferito di questi primi sei mesi del 2024. Ecco quello che ci hanno risposto collaboratrici e collaboratori, in rigorosissimo ordine alfabetico.
Arroj Aftab – Night Reign
La voce dell’anima: con “Night Reign” Arooj Aftab, figlia di genitori pakistani ma di stanza – ormai da tempo – a New York, riesce ancora una volta a coniugare tradizione e modernità: rimanere saldi alle proprie radici sperimentando nuove strade.
(Monica Mazzoli)
Big Special – Postindustrial Hometown Blues
Di album buoni ce ne sono ogni anno, eccome. Scorrendo la lista ci sono alcuni nomi grossi che hanno fatto album davvero di impatto (Vampire Weekend, Chelsea Wolfe) ma vorrei premiare con decisione l’energia di questo duo che sa raccontare con inedita energia la classe operaia inglese. Si muove su un filo immaginario tra gli Sleaford Mods e i Black Keys, ha un cantato in grado di cambiare forma più volte, ha una potenza nelle linee di batteria di rara precisione, sa divertire, parlare di temi importanti e sa prendersi in giro: le prime quattro tracce sono un compendio perfetto di un disco che se messo in cuffia al massimo del volume è, come pochi, capace di lasciare emozioni vere. Energia, rabbia, poesia, età adulta, disillusione: dentro l’esordio di questi non giovanissimi inglesi, con solo voce e batteria e qualche strumento di contorno c’è esattamente quello che manca a tanti dischi ben più chiaccherati e un pò anonimi: la scintilla. E se c’è un gruppo che oggi vorrei vedere dal vivo, vederne l’incendiaria micca esplodere nel momento perfetto della propria traiettoria, quel gruppo sono i Big Special.
(Alessio Favalena)
Carme Lòpez – Quintela (Warm Winters Ltd.)
“Quintela”, l’album di debutto dell’interprete e compositrice galiziana Carme Lòpez per la Warm Winters Ltd., ha come guida di ricerca la decostruzione della musica tradizionale del nord-ovest iberico, incentrato sul raccontare un altro lato del Mediterraneo attraverso un linguaggio in particolare: quello della cornamusa. Influenzata da compositrici quali Éliane Radigue e Pauline Oliveros, López crea soundscape che rivoluzionano le possibilità sonore dello strumento fino a spingerle al loro limite assoluto.
(Viviana D’Alessandro)
Charli XCX – brat
Impossibile confonderla, immediatamente riconoscibile, straordinariamente brava a cavalcare l’hype, nel giusto equilibrio tra uno sguardo in avanti e un’occhiata indietro, Charli XCX non ha sbagliato nemmeno questa volta. Da tempo non arrivava un disco pop in grado di fare da compendio del recente passato e del presente con una serie così irripetibile di potenziali hit. In questo forse è davvero il suo disco più riuscito.
(Piero Merola)
Christian Love Forum – X-Nihilo (Heat Crimes)
In un 2024 che non mi ha fino a ora particolarmente entusiasmato a livello discografico, è stato un piacere ascoltare una nuova uscita dei Christian Love Forum, misterioso trio di origine greca diventato cult dopo “Naked Lights”, pubblicato da The Deat of Rave nel 2021. Atmosfere ovattate, voci di fantasmi, ritmiche à la Muslimgauze, tutto fa di X-Nihilo un classico, ovvero, un disco fuori dal tempo.
(Matteo Mannocci)
Drahla – Angeltape
La band guidata dalla cantante e chitarrista Luciel Brown torna finalmente da protagonista di questa ultima generazione di artisti rock dove il mordente e la qualità sono andati calando in egual misura. “Angeltape” è infatti fenomenale nell’unire le spigolose peculiarità della tradizione musicale della loro Leeds – di Gang Of Four e This Heat per intenderci – a ganci pop o comunque catchy, che si stampano nella testa senza più uscirne. La voce unica della Brown, una sezione ritmica da paura e l’ingresso di un nuovo chitarrista come Ewan Barr, oltre al ricorrersi del sax di Chris Duffin in quasi tutte le tracce della raccolta assicura dinamicità e originalità alla proposta, che conquisterà tanto i fan dei Sonic Youth quanto quelli degli LCD Soundsystem e Rapture.
(Matteo Maioli)
Elbow – Audio Vertigo
Gli Elbow riescono ancora a sorprendere. Pur rimanendo nei loro canoni per quanto riguarda il lavoro sulla voce di Guy Garvey, è la musica il vero punto di forza di questo album. Si arriva al funk con la sezione di ottoni in bella evidenza e i ritmi pulsanti che contraddistinguono buona parte del disco. Tracce come “Lovers’ Leap” e “Balu” sono energiche e trascinanti ma ovviamente ci sono anche brani come “Very Heaven” legati ai canoni più tradizionali del gruppo dove la scrittura riesce ad emergere rispetto alla musica. Rimane evidente il passo in avanti e fuori comfort zone degli Elbow creando nel complesso appunto una vera ‘audio vertigine’ per chi li ascolta.
(Raffaele Concollato)
Hannah Frances – Keeper of the Shepherd
La giovane cantautrice di Chicago torna con un album poetico e ipnotico, popolato da spettri e permeato di un dolore e di una vulnerabilità che solo grazie alle sue intricate e fiabesche tavolozze acustiche sembrano in grado di trasformarsi in una possibilità di rinascita e di ricostruzione. La sofferenza ci obbliga a raccogliere i cocci della nostra vita e a riattaccarli tra loro provando a creare un nuovo ordine imperfetto e incompleto quanto il precedente. La morte del padre, un’infanzia e una giovinezza tormentate da un forte conflitto con la sfera religiosa e relazioni insoddisfacenti e terminate bruscamente sono alcuni dei temi più potenti e più presenti nel disco, formato da sette composizioni dall’atmosfera bucolica e onirica nelle quali Frances guarda ad alcune delle sue fonti d’ispirazione più evidenti: nel country-folk fatato di Keeper of the Shepherd possiamo infatti sentire echi di Joni Mitchell, di Fiona Apple, di Sharon Van Etten e di Joanna Newsom senza mai perdere di vista l’originalità e l’inconfondibile impronta di Frances, che con questo album ci ricorda che si può proporre un discorso vero e personalissimo anche con radici e fonti d’ispirazione salde e riconoscibili.
(Samuele Conficoni)
Jawnino – 40
Ha un ché di grezzo – nel senso di non pienamente ultimato – il disco d’esordio di Jawnino, artista della scena sud di Londra che a maggio è anche stato protagonista della nostra cover del mese. “40”, questo il titolo dell’album, mette in mostra una particolare dimestichezza con la rielaborazione di generi e di influenze musicali: proprio come in un mixtape, si alternano tentativi, tutti riusciti, di dare vita ad un sound che spazia libero e deciso dal grime al dream-pop, dal lo-fi alla new wave, dall’elettronica al freestyle. Se questi sono gli esordi, non posso che essere particolarmente interessato ai futuri sviluppi.
(Enrico Stradi)
Kaytranada – Timeless
“Timeless” è un disco che consolida le virtù del produttore canadese e quello che è indiscutibilmente il suo suono. È un lavoro corposo e lungo ma difficilmente farei a meno di qualcuna di queste 21 tracce. Questo per dire che è prevalentemente una prova di peso, dove il nostro per 21 volte sa essere al 100% (semicitazione) Kaytanada. E le collaborazioni, ovviamente tante, sono straordinariamente calibrate, senza fronzoli e forzature: Childish Gambino, Anderson .Paak, Thundercat, Channel Tres, per esempio.
(Marco Bachini)
Lip Critic – Hex Dealer
Faccio una doverosa premessa: in questi mesi, per una serie di motivi, ho ascoltato musica per un tempo inferiore rispetto a quanto avrei voluto. Tradotto: rispetto agli anni scorsi, arrivo a questo appuntamento con meno nuovi dischi ascoltati (e per meno volte).
Ma è “Hex Dealer”, seconda prova dei Lip Critic, il mio album della prima metà dell’anno. C’è il punk, in tensione fra le sue declinazioni post- e quelle più danzerecce, c’è un hip hop urgente e frenetico, c’è tanta elettronica con sfumature industriali e persino pulsioni rave: in un contesto apparentemente così complesso, mai realmente riducibile a un solo genere, “Hex Dealer” scivola fluido e riesce comunque a conservare omogeneità e freschezza.
(Piergiuseppe Lippolis)
Real Estate – Daniel
Definire un album dei Real Estate come “best so far” nel 2024 sembrerebbe opera di qualcuno che abbia nostalgia della fine anni zero/inizi anni dieci. E in fondo è un po’ così, perché è stato un periodo d’oro per l’indie rock. Ma non è solo per quello, visto che “Daniel” dice di più: racconta che i Real Estate, come noi, sono cresciuti: sanno essere soavi, rilassati, non più attaccati alla contingenza delle cose quanto piuttosto all’essenza delle stesse, sanno usare soluzioni di arrangiamento folk/country (è un genere che va di moda, visto Beyoncé e Diamond Jubilee, no?) molto calde e confidenziali. Quindi forse è vero che, dopo anni in cui le capitali americane della musica erano New York prima e Los Angeles poi, dobbiamo oggi guardare piuttosto a Nashville.
(Paolo Bardelli)