Il magnetico pop degli Alvvays conquista Bologna

Alvvays @ BOnsai Garden, Parco Caserme Rosse, Bologna, 10/07/2024

All’interno della suggestiva cornice del Parco delle Caserme Rosse di Bologna, nell’interessante cartellone che quest’anno la rassegna BOnsai Garden propone, arrivano gli Alvvays, quintetto canadese con all’attivo tre album in studio guidato dal talento e dalla potenza vocale di Molly Rankin. Ad aprire il loro show è il quartetto svedese Girl Scout, che sono proprio oggi all’ultima serata come opener per gli Alvvays.

Alle 20, quando il sole sta solo timidamente iniziando a tramontare e il caldo è ancora asfissiante, salgono sul palco i Girl Scout, dalla grinta e dal talento notevoli. I quattro ragazzi svedesi hanno un sound schietto e tagliente, dove la raffinatezza ricercata e la spontaneità più irriverente si intrecciano dando vita a un connubio felice di pop e alt rock con sfumature punkettare esaltato dalla magnetica presenza della leader Emma Jansson, abile sia con la voce sia con la chitarra. La leader e i tre ragazzi al suo fianco sanno tenere il palco e coinvolgere gli spettatori tra momenti maggiormente melodici e riflessivi e pure derive rock sconquassanti ed esplosive. Trainato da un apparato ritmico incisivo – la batteria macina schegge di beat a volte quasi ossessivi e il basso spinge al massimo, a tratti sovrastando addirittura le chitarre –, il live scorre via rapido in mezz’ora e viene ben accolto dal pubblico, che applaude il quartetto con convinta partecipazione.

Gli Alvvays iniziano puntualmente il loro show alle 21. Come al solito la pulizia sonora degli arrangiamenti del gruppo, la qualità tecnica dei cinque e la tenacia e la passione che ciascun membro del gruppo mette in ogni singolo respiro conquistano sin dalle primissime note. A volte il quintetto diventa un sestetto per via di un cembalo suonato da un membro della loro crew. Molly Rankin ha una voce stratosferica che anche dal vivo non concede una minima fessura a sbavature o a indecisioni. Perfetta e incantatrice, essa è il principale motore portante del gruppo. Gruppo che è molto concentrato e affiatato sin da subito: sono saliti sul palco tutti con sguardi convinti e sicuri.

È la potente e infuocata “Easy on Your Own” ad aprire lo show: la composizione galleggia tra il sognante e l’ipnotico ed è una scarica di adrenalina non da poco che indica la direzione di quello che poi seguirà. Il suono della band è studiato nei dettagli anche più piccoli: fedeltà all’originale e personale lettura nell’hic et nunc, di fronte a un pubblico, si intrecciano con equilibrio e con coerenza. Nel momento in cui alcuni brani di Blue Rev – l’ultima, eccellente prova in studio del gruppo canadese uscita nel 2022 – perdono quel superstrato nebbioso di shoegaze che su disco è ovunque così pervasivo e ammaliante essi guadagnano nella loro natura originaria di irresistibile indie pop, che è in fondo la loro origine più primitiva e inconscia, e di spontaneo e schietto alt rock, anche grazie a scariche di chitarra elettrizzanti e a connubi lisergici di tastiere, synth e riverberi vocali che rendono l’interpretazione live di Rankin tanto precisa e trascinante quanto è quella incisa in studio.

Blue Rev viene suonato per intero e la sua resa dal vivo conferma ciò che già sapevamo e che qui vi avevo scritto: oltre alla splendida produzione di quel disco è la qualità compositiva dei suoi brani – nessuno escluso – a renderlo uno degli album più interessanti, potenti e variegati usciti negli ultimi anni. Confermata è anche un’altra impressione, che è condivisa da molti: quello che abbiamo visto in tournée nell’ultimo anno e mezzo abbondante è uno dei gruppi più in forma e più vulcanici – sia nella performance sia in fatto di idee e di affiatamento – in assoluto al momento. La prova più evidente di ciò è la spontaneità e la determinazione con cui gli Alvvays eseguono i brani più vibranti del set, veri e propri inni del gruppo, come la già citata “Easy on Your Own” in apertura dello show, la dolcemente romantica “Belinda Says”, la travolgente e a tratti alienante “Tom Verlaine” e la succosa e incalzante “Pharmacist”, il primo dei due brani dell’encore, tutte accolte dal pubblico con boati e con applausi e cantate insieme a Rankin da una buona parte degli spettatori.

Molti altri sono gli episodi che spiccano in una scaletta che non concede pause se non per qualche brevissimo ringraziamento, molto sincero e sentito, di Rankin agli spettatori: dalle frequenze distorte e smeraldine di “Very Online Guy”, che Molly esegue inginocchiata modulando la sua voce con gli effetti dei pedali, alle fiabesche e sognanti visioni di “Velveteen”, che dal vivo perde un poco i fumi del dolcissimo muro del suono che il gruppo vi aveva costruito intorno in studio e diventa un brano pop rock cinico e ironico, costruito soprattutto dalla, e intorno alla, voce melodica e ambientale di Rankin, che non rinuncia a qualche notevolissimo acuto e a qualche urlo adrenalinico, dalla poetica e malinconica “Tile by Tile”, questa sì gettata anche dal vivo in quello spleen quasi indescrivibile a parole che ha anche la sua versione in studio, alla brillantezza catartica di “Bored in Bristol”, tutto sul palco funziona a meraviglia. La voce e la chitarra di Rankin sono il nucleo più penetrante ed efficace dello show, ma anche gli altri membri, Kerri MacLellan alla tastiera e ai cori, Alec O’Hanley alla chitarra e ai cori, Sheridan Riley alla batteria e ai cori e Abbey Blackwell al basso, sono magnifici.

I numeri nella scaletta che provengono dai due album precedenti a Blue Rev non sono pochi e non sono certamente meno incisivi e convincenti del resto del set. La band sembra divertita e a suo agio nel proporli e nel rivisitarli a distanza di anni dalla loro pubblicazione: li mantiene estremamente fedeli alle versioni in studio e li colora di un approccio sonoro e vocale molto fisico e magnetico. Celebrata al massimo grado dal pubblico è la idilliaca e suggestiva “Archie, Marry Me”, il più esplosivo cavallo di battaglia del quintetto, ma sono accolte con altrettanto entusiasmo anche la magmatica “In Undertow”, eseguita all’inizio del concerto subito dopo l’apertura, l’onirica e leggiadra “Dreams Tonite” e la levigata “Next of Kin”, tratta dal disco d’esordio del gruppo, che conclude il concerto. «I left my love in the river», ripete Rankin con convinzione, quasi con rabbia, mentre la serata è vicina alla sua conclusione.

Con questo concerto bolognese, nell’affascinante cornice del BOnsai Garden al Parco delle Caserme Rosse, gli Alvvays, nella seconda delle due date italiane in questo tour dopo quella al Magnolia di Milano della sera precedente, si confermano uno dei gruppi più intriganti e di talento di questi anni, una band che ha saputo crescere di album in album riuscendo a costruire con saggezza, pazienza e collaborazione un sound che sa essere originale e variegato pur avendo punti di riferimento e fonti d’ispirazione chiari. È un percorso coerente, studiato nei dettagli anche più piccoli, che li ha portati a diventare da alfieri di un indie pop raffinato e poetico a creatori di un suono e di composizioni ancor più ambiziosi e innovativi, abili a mescolare quell’indie pop e quel dream pop da cui provengono a un alt rock mai banale e addirittura a sfumature sottili e ingegnose di shoegaze. Condensano queste proposte con spontaneità e con tanta applicazione, anche grazie a una splendida intesa tra di loro e alla straripante bravura della loro leader, la cui voce è un nucleo irrinunciabile della sonorità e dello stile stessi della band.

(Live report e foto di Samuele Conficoni)