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Lo avevamo intervistato tempo fa in occasione dell’uscita del suo album “Arto” e ospitato il lancio del suo “Artico EP” nel 202. Oggi, a distanza di sei anni, Setti è pronto a tornare con un nuovo disco: oggi presentiamo in anteprima il video totalmente autoprodotto di “Cazzo”, il primo estratto dal nuovo LP “Al Mare”, che esce (ovviamente) in estate per La Barberia Records. Il cantautore di origine modenese e ora trasferitosi nelle Marche presenta il pezzo con così: “È una canzone sul tema del pregiudizio, nata ascoltando veri discorsi al bar e immaginando un bar inesistente“. Chiacchiere da bar che si trasformano in bozze di persone, in disegni stilizzati e maldestri su cartoni ritagliati in casa: come e anzi più che nelle scorse produzioni, c’è una fortissima e attitudine do it yourself dietro al nuovo lavoro, che non vediamo l’ora di ascoltare.
Di seguito il video di “Cazzo”, più in fondo invece una mini-intervista di tre-domande-tre per i curiosi.
“Non capire quasi un cazzo / Tornare ragazzo” è il ritornello della canzone che ci presenti oggi. Non so se ho capito bene ma mi ha fatto venire in mente questa domanda: cosa diresti al te ragazzo per capirci di più?
Ciao a tutti! La canzone è nata da una frase che ho sentito un giorno al bar, il classico “ah come sarebbe bello tornare ragazzi, quando non si capiva niente”. Mi dava un po’ fastidio. Pensavo fosse dovuto al pregiudizio verso i ragazzi. Invece poi ho capito che era perché chi la diceva era convinto di capire tutto ora. Mentre io più vado avanti, ora ho 39 anni, e meno cose capisco. Quindi se dovessi dirmi qualcosa direi: cerca di capire, perché è una bella avventura, ma non aspettartelo. Per me è più bello cercare di capire piuttosto che riuscirci. Forse non si capisce il concetto. Meglio. In ogni caso spero di non incontrarmi, se dovessi viaggiare nel tempo.
Il tuo disco si chiama “Al mare” e i riferimenti marittimi sono ricorrenti nelle tue canzoni: penso al “gabbiano tremendo” di “Seppia” o a “Mare”, quel pezzo struggente che esiste praticamente solo su YouTube – ma ne esistono altri ancora. Che legame hai con quel tipo di paesaggio (anche semantico)?
Diciamo che prima era principalmente legato a un immaginario, nel senso che vivevo in pianura a Modena e me lo immaginavo durante l’anno. Lo vedevo quasi solo d’estate. Il mare è qualcosa di molto vasto che mi attrae e spaventa al tempo stesso. Ne avevo una visione Salgariana, da salotto, come quella degli Stati americani in cui non sono mai stato. Ora da circa due anni, vivo nelle Marche a 10 minuti dal mare a piedi, ed è diventato una presenza anche fisica nella mia vita. Il titolo del disco è molto infantile, aperto. Il mare è ricco, pieno di cose nascoste. Sono pensieri sommersi. Io scrivo tanto e butto via moltissimo. Le canzoni che restano, i relitti e le scialuppe, di solito sono quelle che affiorano naturalmente, che vengono a galla da sole. Probabilmente per me, nella maggior parte dei casi, è un mare del subconscio. Ma sono anche le persone seminude, sudate, i gelati che si sciolgono in mano, i bagni di notte, i costumi fluo.
Ci sono dischi che hanno in qualche modo influenzato, ispirato, guidato la scrittura di “Al mare”?
Sì, ci sono molti dischi che lo hanno guidato. Quando scrivo un disco nuovo cerco di fermare gli ascolti per immergermi nel mare di cui parlavamo prima. Ci sono sicuramente album che mi hanno formato, o sformato. Sicuramente i miei dischi precedenti, che non riascoltavo da un po’, perché vorrei proseguire in un percorso ma anche cercare di evolvere, quindi ho dovuto fare un piccolo riepilogo di dove ci eravamo lasciati. Poi ci sono dischi con cui sono cresciuto come quelli di R.E.M. The Magnetic Fields, Beck, Adam Green, Paul Simon, Battiato, Jannacci, Conte, Belle and Sebastian, Sufjan Stevens, Arthur Russell, Jeffrey Lewis e la scena antifolk, ecc. Ascolto tanto dischi di amici come “Quasi mai” di Luca Mazzieri, quelli dei Baseball Gregg e degli altri compagni di etichetta su La Barberia Records o di altre etichette italiane che ho amato negli anni come My Honey Records, Marinaio Gaio e Tafuzzy Records. In generale, quando trovo qualcosa che mi piace cerco di coglierne l’attitudine e farlo mio, per realizzare qualcosa di personale. Nel mio piccolo, penso che sia il massimo che posso dare.