Sinnerman e il nuovo EP “Atay”, le 7 ispirazioni

È uscito il 5 luglio su Odd Clique, “Atay”, EP del multiforme progetto romano Sinnerman che si aggira per le strade di Roma dal 2016, assorbendo l’elettricità decadente di cui è composta la Capitale con contaminazioni che spostano le coordinate geografiche verso Marrakech, Kingston, Zagabria, Londra, Lagos, Berlino, Calcutta e molto altro. Sinnerman è un viaggio fatto di molteplici suggestioni che toccano dub, nu-jazz, elettronica e afrobeat uniti ai suoni provenienti dal folklore delle terre più disparate. Negli anni Sinnerman ha mutato forma fino a trovare l’equilibrio perfetto nella formazione attuale. Da un duo è passato a essere un quintetto composto da Dario Castelli (producer e dub master); Giulio Previ (contrabbasso, synth bass); Francesco Sprovieri (batteria); Piero Conte (chitarra) e Federico D’Angelo (sax baritono, tuba).

Ad aprile 2020 era uscito il loro primo album, intitolato “The Shape Of Things To Come”, il punto di partenza della loro esplorazione sonora. Circa un anno dopo ha visto la luce “Drifting Vol.I”, un rito tribale a metà tra dub, nu-jazz ed elettronica diffusa. Questo nuovo EP, “Atay”, è la consacrazione definitiva del nuovo corso del progetto. “Atay” è pubblicato da ODD Clique, l’etichetta e format di serate che negli ultimi anni ha conquistato le notti romane con il suo mix attento tra musica dal vivo di matrice afrocentrica (soul, nu-jazz, funk, afrobeat, world music) e clubbing alternativo. ODD ha già all’attivo la pubblicazione di “MURO”, singolo dalla doppia faccia A/B a firma Rbsn con il featuring del siracusano Marco Castello, e la coproduzione (con Dischi Sotterranei) dell’album di esordio di Coca Puma.

Per raccontarsi attraverso i rispettivi background musicali, ma non solo, la band ripercorre le 7 ispirazioni che hanno accompagnato il percorso artistico di Sinnerman.

MF DOOM
C’è qualcosa di familiare e allo stesso tempo inarrivabile in Doom. Il connubio perfetto tra l’onestà grezza dei suoi beat e le complesse architetture dei suoi testi, il padre di famiglia che fa il rapper per sbarcare il lunario e l’mc che rifiuta il paradigma dell’artista monolitico per assumere molteplici identità artistiche. Nella sua poliedricità, nel suo essere un liricista eclettico e senza pari Daniel Dumile è anche brutalmente onesto. Parla di quello che gli pare e non gli interessa cosa pensa la gente. La sua musica ci suggestiona perché è così come è, senza sovrastrutture, senza edulcoranti eppure non sacrifica lo stile e l’incredibile valore artistico che detiene. Doom può indossare una maschera, essere “il più cattivo dei cattivi”, rappare di birra, erba e personaggi dei fumetti, avere tre o quattro alias diversi e rimanere comunque completamente credibile. Nel nostro piccolo anche noi vogliamo assecondare la nostra creatività senza filtri, fare la nostra musica in modo spontaneo e per questo Doom sarà sempre un’ispirazione.
(Tak, batteria)

Tradizione e Tradimento
Le parole “tradizione” e “tradire” condividono una radice etimologica comune, ma hanno sviluppato significati diversi e complementari allo stesso tempo. Entrambe derivano dal verbo latino “tradere,” che significa “consegnare,” “trasmettere,” o “affidare.” Per noi il concetto di tradizione ha sempre rappresentato una parte fondamentale del nostro processo creativo. L’utilizzo e lo studio dei samples e degli stili tipici di varie forme musicali tradizionali ci permettono di ricercare nei timbri, nei ritmi e nelle melodie del passato. Tradire questi concetti vuol dire per noi assimilarli e utilizzarli per dar vita a qualcosa di nuovo che conserva il vago ricordo di ciò che era, ma che si rinnova e si relaziona con altri concetti in un vero e proprio dialogo tra terre e suoni lontani.
(Federico, sax, flauti, clarinetto)

Field recording
Il field recording è una pratica sonora che ci pone in ascolto di un universo di suoni per lo più non musicali, spingendoci a fermare la nostra attenzione a oggetti e paesaggi sonori che il più delle volte “scorrono” di fronte alle nostre orecchie inuditi e inosservati. Registratore alla mano e sempre all’erta come un cacciatore, il field recordist cattura momenti trascurabili collezionando materiali sonori eterogenei, a volte non del tutto individuabili e classificabili. Il field recording per noi è una pratica utile oltre che piacevole, perché fornisce un ricco tesoro a cui attingere per l’elaborazione dei nostri brani, a volte le registrazioni che collezioniamo diventano colori da utilizzare, altre volte invece scandiscono la struttura sulla quale costruire un brano. Tutto il materiale registrato sul campo diventa per noi un corpo morto sonoro a cui dare vita, una fonte di ispirazione e uno stimolo alla creatività, un mondo di suoni che ci sostiene sempre nella nostra ricerca musicale.
(Giulio, contrabbasso, synth)

Distanze da colmare
Una delle particolarità del nostro progetto è che io vivo in un altro paese, più precisamente in Olanda, a Rotterdam. Una distanza che presenta, come tutte le cose, i suoi lati positivi e negativi. Da un lato la sempre crescente possibilità di far affacciare il progetto al Nord Europa, le esperienze interculturali e la possibilità di collaborare con artisti esteri di diverse radici musicali; dall’altro la difficolta nel potersi ritrovare tutti i saletta solo in prossimità delle date e il continuo mandare e ricevere a distanza idee e arrangiamenti nella fase di produzione. Permei dell’esperienze fatte durante la creazione di “ATAY”, stiamo adesso provando a ritagliare delle micro-finestre temporali dove lavorare intensamente alle nuove produzioni. Questa nuova metodologia ci permette di avere uno spettro di influenze più circonciso; guardando alla limitazione temporale come spazio creativo per catturare le esperienze delineate in un preciso momento della vita di ognuno di noi.
(Piero, chitarra)

Lee Perry  
Lee “Scratch” Perry è una figura leggendaria nella musica giamaicana, noto per la sua influenza rivoluzionaria nel reggae e nella ricerca sonora del dub. Ha messo le mani su tantissime produzioni giamaicane dagli anni cinquanta in poi: imperdibili i dischi dub con la sua house band The Upsetter come “Blackboard jungle” e ” Super ape”. Oltre a tutto questo, mi lega a lui un aneddoto personale: avevo sedici anni ed ero in vacanza in Olanda con la mia famiglia. Mio padre sceglieva meticolosamente i cd che avrebbero fatto da colonna sonora ai viaggi in macchina e per quel viaggio portò anche un cofanetto della Black Ark (l’etichetta di Lee Perry). Io rimasi molto colpito dal fatto che in molte canzoni si sentivano versi di mucche, galline, pecore. Durante quella vacanza, ho iniziato a registrare con il telefono tutti gli animali che incontravo nelle campagne olandesi e da allora non ho più smesso di “cacciare”  questi suoni come si può sentire in tutta la musica di Sinnerman.
(Dario, dubmaster)

Il terrazzo
Il terrazzo è uno dei luoghi che più frequentiamo. È un ex lavanderia, davvero molto piccola e sprovvista di bagno, situata in cima al terrazzo del condominio di Federico, il nostro batterista. Questo posto rappresenta per noi lo sfondo di ogni tappa all’interno del nostro percorso musicale: registrazioni, riunioni, jams, elaborazioni di brani e dischi. Il terrazzo è il nostro porto sicuro, dogana invalicabile per tutto ciò che accade all’interno del nostro gruppo. Il piccolo abitacolo gode di una vista mozzafiato su Roma, la nostra città, affacciandosi sul lato più bello inquadrando il maestoso altare della patria e l’ingombrante cupola di San Pietro. Accanto a tanta bellezza si avverte la decadenza progressiva e atavica che vive la nostra città, incarnata nello scheletro dello stadio Flaminio, un mostro leggendario che riposa senza vita a pochi passi dal condominio su cui ci troviamo facendoci vedere il suo interno, un vero e proprio palcoscenico senza più né pubblico né spettacolo. Sporgendosi un po’ dalla ringhiera che circonda il terrazzo si può notare l’erbaccia e le piante spontanee che crescono e s’impadroniscono di tutto come propaggine di una natura indifferente alla civiltà che la circonda. Questa Roma ci guarda e noi la guardiamo ma sempre con una distanza incolmabile, non la viviamo davvero e preferiamo restare chiusi nella nostra piccolissima stanza, a sudare e respirare antropotossine, costretti a stringerci e a farci spazio l’uno con l’altro, come in un ring, sempre obbligati al confronto.
(la band al completo) 

Il Mangiadischi
Ho conosciuto il Mangiadischi alcuni anni fa, quando ancora si trovava nella sua prima e piccola sede a San Lorenzo. Luca , il proprietario, è la straordinaria eccezione  alla regola che prevede che i negozianti di dischi siano tutti scorbutici e di poche parole. È anche romanista, fatto assolutamente da non sottovalutare. Ho passato tanti pomeriggi con lui a parlare di musica, a scoprire musicisti, produttori, label che non avevo mai sentito nominare; ogni volta che entro mi sento ” cadere dal tempo”, esco dalla nostra dimensione fatta di “scelti per te” da algoritmi senza passione e fantasia e mi sembra di vivere quella magica atmosfera dei negozi di dischi del secolo scorso, raccontata magistralmente da Nick Hornby in “Alta fedeltà”. Il Mangiadischi infatti è uno di quei negozi in cui non vai per comprare qualcosa che stai già cercando, che fa già parte del tuo circolo di ascolto, ma per scoprire qualcosa che probabilmente non avresti mai incontrato. In ogni uscita di Sinnerman c’è sempre qualche campione proveniente da un disco sconosciuto che mi ha consigliato Luca.
(Dario)