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Waxahatchee @ La Maroquinerie, Paris, July 22, 2024
Al termine dell’ora e mezza dello show che Katie Crutchfield e soci, meglio noti come Waxahatchee, hanno offerto due giorni fa al pubblico della Maroquinerie, suggestiva sala concerti – ma anche ristorante e cocktail bar – dalla capienza di circa cinquecento persone situata nel XXe arrondissement di Parigi, è chiaro quanto i pezzi eseguiti nei novantacinque minuti precedenti siano cuciti addosso alla sua autrice e forniscano una rappresentazione plastica e sincera del suo percorso artistico e di vita. La performance disegnata da lei e dai suoi colleghi di palco è stata contagiosa, esaltante e catartica, un tuffo dentro un universo che sa essere gioioso, malinconico, festoso, penserioso – totalizzante, in breve – nel raccontare le riflessioni e i pensieri tormentati e mai domi di chi sa che la scrittura e l’atto performativo della propria opera possono rappresentare una ragione in più per esistere e resistere.
Il pubblico, appassionato e partecipe, risponde con entusiasmo all’esplosività della serata, che si colloca all’interno di un country pop raffinato continuamente intriso di elementi folk e rock tipicamente americani. Prima di Waxahatchee lo aveva cullato il folk onirico e fiabesco di Anna St. Louis, la cui voce cristallina esalta gli spettatori in modo quasi inaspettato: coinvolti e interessati, la applaudono quasi a bocca aperta, incitandola addirittura, sul finire del suo show, a eseguire un brano in più. Seduta e accompagnata solo da una chitarra acustica, Anna suona per circa una mezz’ora; in alcuni brani sono al suo fianco due membri della band di Waxahatchee.
Appena prima delle 21 Katie Crutchfield e la sua band salgono sul palco. Li accoglie una vera e propria ovazione, e lo show che seguirà rispetterà le aspettative che in esso tutti riponevano. Nella loro resa dal vivo i brani di Waxahatchee suonano vividi e spontanei quanto le loro versioni in studio. Cristallini e perforanti, squarciano il velo di timidezza e di timore che i sentieri e i sentimenti di cui trattano potrebbero contribuire a tessere. Si tratta di composizioni che, per la loro schiettezza e per la loro concretezza, entrano in modo viscerale nel cuore di chi ascolta: dalla gioiosa ebbrezza dell’amore a un perenne procedere on the road nel Sud degli USA, dalla malinconia di qualcosa o di qualcuno andato perso alla paura di non poter trattenere ciò che ora ci fa stare bene, i testi e le melodie di Crutchfield arrivano dritti all’anima e scolpiscono un paesaggio sonoro che è non è solo interiore ma è anche la colonna sonora di quell’America rurale e passionale che tanto ha inciso nell’immaginario poietico della cantautrice.
Anche dal vivo la voce di Katie è naturale e onesta: precisa e vellutata, è in grado di assottigliarsi nei momenti di maggiore pathos, quasi per l’emozione o la fatica, o d’incresparsi e d’indurirsi nei passaggi più intensi e scatenati. È uno dei nuclei fondanti dello show e dei brani stessi, e intorno a essa e grazie a essa le canzoni diventano materiale vivo e transitorio, da maneggiare con cura e nel quale immergersi in toto. Crutchfield suona per la maggior parte del concerto la chitarra acustica, cambiandone diverse in base al brano da eseguire. Non sono pochi i pezzi in cui canta soltanto, a riprova di quanto la sua voce e la sua presenza scenica – particolarmente sicura e accattivante – siano coinvolgenti e magnetiche.
I cinque musicisti accanto a Katie sono tutti molto affiatati tra loro: questo aspetto riesce addirittura a impreziosire ancor di più brani che già di per sé sono particolarmente efficaci e poetici nella loro schiettezza e nella loro concisione. Giovani e agguerriti, sono dentro le canzoni con una verve e una dedizione straordinarie. I due eccellenti chitarristi dialogano spesso tra loro e insieme alla chitarra acustica di Crutchfield con risultati a tratti mozzafiato. Clay Frenkel in particolare sfodera alcune pennate e alcuni licks ruggenti e poderosi. Suo è il backing vocal nella gemma country-folk “Right Back to It” che sostituisce quello che nel disco era fornito da MJ Lenderman, che lì contribuiva anche con la sua chitarra.
Ad ampliare le sfumature immaginifiche di alcuni pezzi sono un piano elettrico, suonato da uno dei due chitarristi, e una tastiera. Il metronomo del gruppo è fornito dalla bravissima Eliana Athayde al basso e ai cori e dall’altrettanto ottimo Spencer Tweedy – proprio lui, il figlio di Jeff – alla batteria e alle percussioni. Anche il pattern ritmico della chitarra acustica di Crutchfield è un elemento imprescindibile in questo pregevole edificio. Quando non suona la chitarra Katie fa del suo stesso corpo uno dei vettori attraverso cui ampliare il contenuto e l’autenticità del pezzo, e il risultato è eccezionale: il coinvolgimento e il trasporto del pubblico, infatti, non vengono mai a mancare, e, anzi, non sono pochi i momenti in cui gli spettatori cantano i brani quasi come ipnotizzati, se non, a tratti, addirittura commossi.
Nessuna canzone eseguita questa sera è stata pubblicata prima del 2020. L’ottimo Tigers Blood, uscito pochi mesi fa, viene eseguito per intero. Dall’altrettanto splendido Saint Cloud, uscito nel 2020, vengono selezionati otto pezzi degli undici totali che contiene. Completano la setlist tre brani tratti da I Walked with You a Ways, disco pubblicato nel 2022 da Katie Crutchfield e Jess Williamson con il nome di Plains, e una nuova composizione, “Much Ado About Nothing”, che è il primo dei tre pezzi suonati nell’encore. Ad aprire lo show sono i primi tre pezzi di Tigers Blood, un trittico magmatico che mescola il meglio del country, del folk e del rock che potrebbe esistere in questo momento storico. La sfacciata sincerità di “Can’t Do Much” e il folk elegantissimo della già citata “Right Back to It” sono accolti con applausi giganteschi. Gli splendidi saliscendi vocali della poetica e leggiadra “Ruby Falls”, che sfocia senza alcuna pausa nella scanzonata “The Wolves”, la tranciante malinconia di “Crimes of the Heart”, la grinta incendiaria di “Tigers Blood”, la dolcezza turbata di “365” e la poesia a Ringkomposition di “Fire”, i due episodi mozzafiato che chiudono il live, sono tutti capitoli bellissimi, contraddistinti dalla concentrazione e dalla convinzione con le quali sono interpretati da Crutchfield e dal gruppo. Ciò che sorprende – o forse, in realtà, no – è la totale assenza di momenti “di passaggio”: ogni canzone è un hic et nunc vissuto con grande intensità da Katie, dai musicisti e dal pubblico, e non ci sono cedimenti né sotto l’aspetto musicale né dal punto di vista del coinvolgimento emotivo.
Echi di Lucinda Williams, Dolly Parton e Gillian Welch, ma anche di Joni Mitchell e Bob Dylan, convivono in perfetto equilibrio tra loro, con coerenza e con saggezza, nelle canzoni di Crutchfield, senza che la loro autrice rischi mai di imprigionarsi in queste difficili catene: le fonti di ispirazione, infatti, le permettono di costruire un discorso che lei poi è abile a rendere personale e inequivocabilmente e orgogliosamente proprio. Quelle di Crutchfield sono canzoni che hanno il loro fondamento in diverse epoche e in diversi generi: hanno radici continuamente in fibrillazione ed espandibili, mescolano e digeriscono tante influenze e tanti stili differenti e trasformano il tutto in un approccio e in un sound distintivi e moderni, tanto consci della tradizione quanto in grado di scrivere nuove pagine importanti ed emozionanti nel background in cui si muovono. Lo show parigino a supporto del suo ultimo disco è l’ennesimo tassello in più che ci fa dire che Katie Crutchfield è una delle voci cantautorali più importanti e di talento da un decennio a questa parte.
(Live report e foto di Samuele Conficoni)