Mdou Moctar: una tempesta psichedelica nel deserto

Mdou Moctar, Magnolia Estate – Segrate (MI), 22 agosto 2024

Mdou Moctar, chitarrista Tuareg del Niger, poche settimane fa lo si è visto al Glastonbury Festival monopolizzare il Park Stage con il turbine dei solo di chitarra, l’intensità ritmica e l’energia data dai compagni di band.

Michael Coltun al basso, Souleymane Ibrahim (fantastico) batterista e il chitarrista Ahmoudou Madassane, oltre che Mahamadou “Mdou Moctar” Souleymane compongono quella che pochi giorni fa Mdou ha definito una ‘vera’ band, non un progetto a suo nome.
Il Magnolia non è Glasto e il palco secondario non è il Park Stage ma ci sono comunque 200 persone accorse a vedere il concerto, che in una serata di fine agosto non sono poche.

In apertura il gruppo belga Takh, un gruppo tra il ‘dark-filk’ e il post-rock, molto solido, purtroppo sono riuscito a godermi solo gli ultimi pezzi ma mi sono parsi ben più che interessanti.

Svuotato il palco dagli strumenti della band di supporto e tolte anche “spie”, lo scenario è molto strano in quanto tra i tre microfoni frontali e la batteria, completamente schiacciata sul fondale c’è molto spazio, cosa che permetterà al cantante di muoversi a lunghe falcate.

In abiti tradizionali Tuareg i quattro iniziano con un pugno di brani dell’ultimo lavoro, “Funeral For Justice”, atto politico verso i militari che nel Niger hanno rovesciato il governo eletto democraticamente. Non avendo le spie di palco probabilmente il setting delle voci non risulta ottimale e per tutta la serata risulteranno ‘dietro’ alla musica.

Ovviamente musicalmente lo show ruota attorno ai riferimenti che partono dai suoni più profondi dell’Africa al blues delle origini, il tutto rielaborato in modo da creare una sound contagioso.
L’intenso lavoro di chitarra di Moctar è caratterizzato dal rapido picking, dalle scale complesse e dagli assoli velocissimi che testimoniano una padronanza tecnica e creatività musicale notevoli, ma la vera sorpresa è la sezione ritmica che fornisce una solida base per il lavoro di chitarra di Moctar, guidando la musica con energia e precisione implacabili.

Non secondario il lavoro alle seconde voci di Madassane, che nel finale si rivelerà anche un ottimo chitarrista solista.

La psichedelia aleggia nei suoni arabeggianti e ipnotici, combinati con le luci e la presenza scenica della band (Motcar è alto più di 1.90) crea un’esperienza unica e coinvolgente, una sorta di flusso che come una carovana procede senza sosta e il cantato, in arabo, aiuta ad immergersi nel flusso e venire trasportati lontano.
Stranamente e senza salutare o dare cenno di problemi, Moctar lascia il palco dopo appena 50 minuti di show e tocca ai tre rimasti, direi senza troppi problemi, finire lo show.

Madassane riesce a prendere benissimo, come detto, il posto del “titolare” finendo in modo egregio il set dividendosi tra assoli e cantato.
Questa situazione ha attenuato l’effetto del ‘flusso’ musicale, ma il bis finale, un’improvvisazione che è sembrata ben rodata, ha riportato il mood giusto e ha chiuso uno show (un’ora e dieci alla fine) che ha potuto accontentare fan del rock psichedelico, della world music e dello stile chitarrastico funambolico e non è poco.