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Originari di Cesena e con sonorità tipicamente indie anni ’10, i Kodaclips in questi giorni fanno uscire il loro secondo disco “Gone Is The Day” seguito da un tour che avrà molte date all’estero.
Ci siamo fatti raccontare come è nato il disco e come sono riusciti a farsi notare anche lontano dalla loro Romagna.
Qual è stata l’ispirazione principale dietro la creazione di “Gone Is The Day”?
KC: Il legame costante tra i pezzi e il suono del disco, nasce dalle emozioni: ci sono dei punti cardine nel flusso dell’album, come la nostalgia, il senso di smarrimento, il conflitto interiore, l’introspezione, la sensazione di essere schiacciati dalla vita di cui chiunque ha fatto esperienza almeno una volta.
Rispetto a “Glances” c’è stata una notevole evoluzione soprattutto nell’uso della voce, come è avvenuta questa trasformazione?
KC: Le linee vocali sono nate insieme al comparto strumentale in questo disco, mentre in “Glances” sono arrivate successivamente, abbiamo cambiato anche modo di ricercare la melodia
C’è un brano in particolare a cui siete particolarmente legati e perché?
KC: Difficile rispondere, è un po’ come chiedere a un genitore a quale figlio è più affezionato, diciamo che sicuramente ci sono brani che vanno molto nel profondo per quanto ci riguarda, come “Surface”, la title track “Gone is the day” e “Number 87” che viene da esperienze vissute
Durante il processo di registrazione, quale brano vi ha dato più lavoro? Alcuni hanno delle strutture non banali, penso a “Viola”(mi ha impressionato il muro di chitarre) o al singolo “Fall Apart”.
KC: Grazie per il complimento! Il brano più stratificato e ultimo in ordine di scrittura è sicuramente “Sleep, Doom, Shelter”, che chiude l’album. Ci sono noise, synth, layer di chitarre e molta effettistica.
I testi sono frutto del flusso musicale o hanno l’intento di raccontare “pezzi” di voi?
KC: Se nel primo lavoro abbiamo usato la tecnica del cut up, in questo disco i testi oscillano tra riflessioni, ricordi e flusso emotivo. Alcuni sono più chiari, altri più personali, ma sicuramente non seguono un songwriting di tipo cantautorale.
Avete aperto per diverse band dal suono affine al vostro(per esempio A Place to Bury Strangers e Slowdive), è stato di aiuto e vi ha contaminato in qualche modo a capire che strada percorrere?
KC: Abbiamo avuto questa grande fortuna, vedere chi ascoltavamo da ragazzini esibirsi con umiltà ed energia nonostante la fama è stato molto motivante.
Venendo da situazioni contenute e da un paese in cui questo genere è appannaggio di una nicchia ristretta, è stato molto bello vedere quanto il pubblico possa essere coinvolto e ti faccia sentire nel posto e nel momento giusto anche quando sei un semplice opener!
“Gone Is The Day” è pubblicato dalla “Sister 9” etichetta di Manchester, oltre che da “Black Marmalade” e “Little Cloud” per gli USA: come siete entrati in contatto con loro?
KC: Eravamo intenzionati a cercare un’etichetta all’estero, in questo A Giant Leap (nostro management e Booking) è stato fondamentale e ci ha saputo indirizzare verso chi ha creduto in noi.
Sister 9 e Leo di Black Maramalade ci hanno dato fiducia e ne siamo davvero felici e grati.
Little Cloud è una splendida realtà statunitense che ha accettato di distribuire il nostro album negli USA e di darci supporto se mai passeremo da quelle parti
Il genere che possiamo mettere sotto il cappello dello shoegaze ha avuto un notevole aumento di interesse negli ultimi anni con il ritorno degli Slowdive, i DIIV e i già citati A Place to Bury Strangers. Voi ne siete appassionati da sempre o nel gruppo convivono diversi gusti?
KC: Il genere è sempre stato una passione di metà del gruppo, per l’altra parte ha rappresentato una piacevole scoperta. Più di tutto, ci ha dato modo di mettere sotto lo stesso cappello sonoro le nostre idee di composizione. Siamo felici di vedere come il genere stia tornando in auge con un sacco di nuovi gruppi e artisti molto interessanti! Ognuno di noi in partenza aveva un background musicale orientato a gusti diversi, dal punk all’elettronica, passando per lo stoner e il post-rock.
Avrete diverse date all’estero, trovate che sia più facile suonare fuori dall’Italia dove il genere ha un grande seguito?
KC: Lo sapremo dire solo una volta che saremo di ritorno, sicuramente anche a livello di feedback abbiamo visto tanta partecipazione da Paesi che hanno una cultura nel genere come Regno Unito e Stati Uniti.
In Italia la cosa che sembra veramente difficile o comunque rara è trovare dei contesti adatti al genere per pubblico e direzione artistica.
Live riuscirete a riprodurre tutti i suoni che ci sono su disco?
KC: Abbiamo lavorato su alcuni suoni con un synth modulare e abbiamo potuto stratificare le chitarre in studio, dal vivo puntiamo a compensare queste “mancanze” con l’impatto sonoro e fisico della musica che amiamo
Siete originari di Cesena, ad un’ora da Pesaro, che ha dato e dà tanto all’indie italiano, com’è vivere vicino ad una realtà simile?
KC: Gruppi come i Be Forest e i Soviet Soviet sono tra i nostri ascolti, hanno saputo creare qualcosa di veramente bello anche senza un sentiero tracciato, facendo tanta ottima musica.
Più volte siamo stati in quella zona, sia in passato che di recente, per la musica live.
Speriamo che l’inestimabile fiducia di un’istituzione pesarese come Black Marmalade sia di buon auspicio per il nostro futuro.
Pensiamo che vivere vicino a una città come Pesaro ci abbia dimostrato che le cose potevano essere diverse dalla nostra realtà quotidiana e che non serve vivere in una metropoli per creare un terreno artisticamente fertile!