Share This Article
#My2cents
Sono già partite le classifiche del quinquennio 2020-2024: hanno aperto le danze Pitchfork e Past, ma poi in molti anche sui social hanno iniziato a discuterne, sia per sottolineare la presunta inutilità di questo “so far”, sia per commentare la difficoltà di inquadrare questi Anni Venti. Noi a Kalporz non so se la faremo (più no che sì) ma intanto ospitiamo la classifica di un kalporziano che “aveva già il colpo in canna” e che va a ruota libera, così come è classico nella rubrica My2cents. Motivando le ragioni delle scelte e soprattutto il perché è sempre buona cosa farle, queste benedette classifiche. Ecco i 50 album di Francesco Marchesi.
Non ho mai adorato quelli che dileggiano le classifiche. Non raramente queste critiche provengono dai vecchi critici musicali che si sono formati tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, ossia dall’ultima generazione che della critica musicale è riuscita a fare un mestiere. E di solito la denigrazione riguarda il carattere inevitabilmente, ma in verità parzialmente, idiosincratico di ogni classifica, il fatto che ai tempi loro c’erano universi condivisi, che la musica liquida ha disgregato tutto e o tempora o mores.
In realtà le classifiche sono un ottimo modo per fare il punto, per confrontare le opinioni e le letture di un periodo, insomma, per parlare di musica. E questa metà degli Anni Venti non fa eccezione anche se la prima considerazione da fare riguarda un limite strutturale della composizione di una classifica, in particolare se rivolta agli album.
In effetti personalmente ho passato molta parte di questo lasso temporale ad ascoltare quella che Kit Mackintosh nel suo capolavoro Neon Screams (tradotto in italiano da Nero edizioni con il titolo Auto-Tune Theory) chiama “psichedelia vocale”, in particolare bashment giamaicano, drill inglese e trap americana. Tutte scene difficilmente rappresentabili in una classifica dal momento che producono più che altro un suono, rappresentato di volta in volta da singole tracce, per altro distribuite lungo una traiettoria che eccede di molto il periodo di cui stiamo parlando. Come tutte le avanguardie popolari qui gli album quasi non esistono e persino gli artisti sono del tutto effimeri e non solo perché spesso si beccano qualche pallottola vagante per le strade di Kingston. In ogni caso si tratta davvero della cosa da ascoltare oggi, il punk dei nostri tempi.
Il buon Kit Mackintosh tuttavia si è perso alcune tendenze che contribuiscono all’innovazione musicale di questi anni e che mi pare emergano se proviamo a stilare una classifica degli album più significativi dei primi cinque anni del decennio. La prima, che più di altre oscilla tra la tendenza e l’eccezionale caso isolato, riguarda i britannici Jockstrap della magnifica Georgia Ellery – forse la singola personalità più rilevante della musica di questo periodo visto che fa parte anche del gruppo klezmer-punk dei Black Country, New Road. Un hyperpop in cui vengono digeriti alcuni elementi di quell’elettronica massimalista e plasticosa che a pensarci si può ricondurre a fenomeni come Sophie e Arca, ma collocandoli all’interno di un contesto più melodico e maggiormente debitore del continuum della tradizione inglese.
Complessivamente, se non proprio di un orientamento musicale, i due Jockstrap sembrano rappresentare il mood eclettico, introverso e vagamente disturbante che caratterizza la cosiddetta generazione Z, di cui un altro importante rappresentante si trova tra l’altro qui in Italia nel collettivo Thru Collected, di cui inseriamo in classifica un lavoro collettivo e il primo EP di Altea.
L’altro personaggio che salta all’occhio di questo periodo è l’anglo-gambiano Pa Salieu. Come tale, grazie al suo incedere vocale così segnato dall’accento delle origini familiari, ma anche in quanto rappresentante di un suono, l’afroswing, distillato tra il morbido afrobeats della costa occidentale africana e la durezza dell’elettronica inglese. Di quest’area musicale inseriamo anche J Hus ma la specifica grandezza di Pa Salieu si trova forse nella capacità di costruire grandi inni del sottoproletariato delle grandi metropoli globali come “Frontline”.
In generale si può forse scorgere un tratto di questa fase nella nuova centralità di suoni e ritmi di origine africana: dai citati afrobeats e afroswing provenienti dalla costa occidentale, Nigeria in particolare, passando per l’amapiano delle township sudafricane, fino all’influenza crescente di beat derivanti dal kuduro, dal gqom e da altri sottogeneri. Almeno una ragione di queste trasformazioni si può individuare nella mutazione dei fenomeni migratori che hanno investito soprattutto la Gran Bretagna: società multietnica fin dagli anni Settanta, rispetto a quell’epoca di flussi giamaicani e caraibici – da cui l’entrata del reggae, del dub, la nascita dello ska – da tempo è invece attraversata da una migrazione prevalentemente africana, le cui culture hanno finito per caratterizzare una parte rilevante delle periferie urbane, luogo classico dell’innovazione musicale.
Un’innovazione che tuttavia passa tradizionalmente anche dallo sgrezzamento intellettualistico di intuizioni di origine popolare. È il caso, in modi diversi, del post-footwork della produttrice americana Jlin o della fusione tra trap e no wave (no trap?) del notevole album di Kim Gordon di quest’anno, o ancora del punto più alto toccato probabilmente dalla sperimentazione della trap americana con “Whole Lotta Red” di Playboi Carti. Rispetto a qualche anno fa sembrano invece in discesa il rock britannico più sperimentale, Black Country, New Road e black midi sopra tutti, e un altro caso nato a cavallo del decennio, l’avanguardia jazz-hip hop radicata soprattutto a New York e guidata dal collettivo degli Standing On The Corner. Una discesa dovuta soprattutto alla crisi, o alla disgregazione, di queste formazioni, strutturate spesso come “collettivo” piuttosto che come “band”: proprio il ritorno di questo modo di lavorare collettivamente ma in modo fluido – in Italia ancora i Thru Collected – è un altro aspetto interessante di questo momento.
In generale non è facile dire se alcune di queste tendenze rappresenteranno qualcosa alla fine del decennio, del resto anche gli anni Dieci sono stati stravolti nella loro seconda metà dall’ingresso massiccio della psichedelia vocale, ancora non così influente in una prima metà che sembrava una lunga coda dei Noughties. Non si vede insomma ancora qualcosa come il legame sociologico forte che ha unito quella rivoluzione musicale alla diffusione di sostanze come la codeina e al clima politico fosco dei secondi anni Dieci.
Su questo terreno si può solo azzardare la suggestione per cui l’influenza di suoni, per così dire, non euro-americani sembra essere destinata a crescere, in una linea continua che dalla sperimentazione vocale nata in Giamaica arriva oggi ai nuovi suoni africani. Come in altri ambiti della nostra realtà il mondo nuovo potrebbe forse arrivare da fuori.
1. Jockstrapp, “I Love You Jennifer B” (2022)
1. Pa Salieu, “Send Them to Coventry” (2020)
- Playboi Carti, “Whole Lotta Red” (2020)
- Jlin, “Akoma” (2024)
- Kim Gordon, “The Collective” (2024)
- Beatrice Dillon, “Workaround” (2020)
- Black Country, New Road, “For the First Time” (2021)
- Billy Woods, Kenny Segal, “Maps” (2023)
- Mdou Moctar, “Afrique Victime” (2021)
- J Hus, “Big Conspiracy” (2020)
- Mach-Hommy, “Pray For Haiti” (2021)
- Jessy Lanza, “All The Time” (2020)
- Altea, “Non ti scordar di me” (2022)
- Earl Sweatshirt, “SICK!” (2022)
- Fiona Apple, “Fetch the Bolt Cutters” (2020)
- Cindy Lee, “Diamond Jubilee” (2024)
- Dry Cleaning, “New Long Leg” (2021)
- SZA, “SOS” (2022)
- Standing On The Corner, “G-E-T-O-U-T!! The Ghetto” (2020)
- Kali Malone, “All Life Long” (2024)
- black midi, “Cavalcade” (2021)
- Tirzah, “Colourgrade” (2021)
- Skillibeng, “The Prodigy: Ladies Only Edition” (2021)
- Nubya Garcia, “SOURCE” (2020)
- Thru Collected, “Discomoneta” (2021)
- Kali Uchis, “Sin Miedo” (2020)
- Amaaarae, “The Angel You Don’t Know” (2020)
- Slowthai, “TYRON” (2021)
- Crumb, “Ice Melt” (2021)
- Nazar, “Guerrilla” (2020)
- Slauson Malone, “EXCELSIOR” (2023)
- L’Rain, “I Killed Your Dog” (2023)
- John Glacier, “Like A Ribbon” (2024)
- Charli xcx, “brat” (2024)
- Animal Collective, “Time Skiffs” (2022)
- Jay Electronica, “A Written Testimony” (2020)
- Fatima Al Qadiri, “Gumar EP” (2023)
- Nala Sinephro, “Space 1.8” (2021)
- Roisin Murphy, “Hit Parade” (2023)
- King Krule, “Man Alive!” (2020)
- The Range, “Mercury” (2022)
- Loraine James, “Reflection” (2021)
- RP Boo, “Established!” (2021)
- Migos, “Culture III” (2021)
- Yo La Tengo, “This Stupid World” (2023)
- Darkside, “Spiral” (2021)
- Charlotte Adigéry, Bolis Pupul, “Topical Dancer” (2022)
- Yaeji, “With A Hammer” (2023)
- Panda Bear, Sonic Boom, “Reset” (2022)
- Dean Blunt, “Black Metal 2” (2021)