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CASA, “Cuore Esicasta” (Dischi Obliqui, 2024)
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Sono seduto sul sedile posteriore… i piedi sdraiati, lo sguardo puntato sul vago, il viso accarezzato dall’aria che sa d’acquitrino, le narici dall’asfalto, le orecchie punzecchiate dal gracidare di qualche rana… ma ci saranno anche insetti…
Giunge al dodicesimo atto l’avventura dell’avant band italiana “Casa”, ormai vero Teatro Stabile d’espressione dalle cui porte girevoli si sono col tempo avvicendati i musicisti e le personalità più diverse. Voci strumentali chiamate al proscenio da Filippo Bordignon, che oggi è curatore primo, assieme a Giulio Pastorello, di questa creatura musicalmente multiforme che si abbevera ancora una volta tanto delle indicazioni dei leader quanto delle sensibilità dei soggetti via via coinvolti a suonare.
Oggi la musica dei Casa, dalle sempre forti tinte sperimentali, guarda ad un ambient elettroacustico, posandosi con interesse su una serie di contraddizioni: una stasi colma di movimento ripetitivo; l’inserimento, fianco a fianco, di timbri musicali degradati con strumentazione acustica più limpida; un sottile gioco di sfasamento del tempo e del contesto. Trovando ispirazione in vecchie registrazioni altrui e in una loro personale reinterpretazione, ai limiti del bestiale, del phasing di Steve Reich – ovvero la sovrapposizione di due o più strumenti che suonano la stessa frase, ma a tempo leggermente diverso, creando un eco acustico – il duo crea una serie di quadri ambientali con vecchi campionamenti corteggiati da varia strumentazione suonata da un manipolo di ospiti. Sono istantanee strumentali dove alla nitidezza si preferisce la “dismessa” a fuoco; alla narrazione la percezione; e al passo avanti una quieta contemplazione.
Così, in questo “Cuore Esicasta” troviamo una serie variopinta di brani: dalle iniziali vibrazioni rumoristiche dei field recordings de “La Gnosi Del Cipresso”, passando per la purezza delle note di campane tibetane di “Meister” e arrivando ai neri bordoni di synth in “A Tauler”, il disco si rivela timbricamente più ricco di quanto non potrebbe sembrare ad un primo impatto. Una caratteristica che si manifesta ancor di più con lo scorrere delle tracce: in “L’Attimo Increato” e in “Luce Taborica” – dove a comparire è la tromba – si percepiscono profumi acustici propri di quel fourth world pensato da Jon Hassell. Una variabilità orchestrale curiosa, se consideriamo che gran parte dello spettro sonoro di questo album è immerso in una densa bruma granulare, risultato della manipolazione di antichi album di musicisti blues! Ma è proprio questo doppio binario acustico a costituire il sottile fascino del disco: i samples altrui sono la terra, gli strumenti suonati sono i rivoli d’acqua che la lambiscono e ne donano diversa sostanza. L’incontro tra il timbro di quelle vecchie registrazioni con le affilate intrusioni degli strumenti suggerisce una ricontestualizzazione del materiale originario in ambienti sonori differenti da quelli che suggerirebbero – pensate ai dischi di The Caretaker – , creando una curiosa sensazione di straniamento, con voci di tempi andati reinserite su fondali sonori moderni. Il limite di questa unione, qui, sta forse in una certa rigidità, dove invece una commistione più fluida e compartecipe degli elementi in gioco – magari lasciando più spazio all’interplay tra strumenti e campionamenti – avrebbe potuto aprire scenari sonori ancor più interessanti. Ad ogni modo, questo equilibrio si capovolge in “Deserto Paterno”: qui sono gli strumenti – una batteria, una chitarra, un basso… – a riempire lo spettro sonoro e a resistere all’incontro con un bordone elettronico, arrancando con convinzione con un andamento dub rock zoppicante che ritmicamente ricorda le fantasie improbabili della mano sinistra di Thelonius Monk.
Con “Cuore Esicasta”, i Casa ci consegnano undici intriganti arazzi ambientali che pulsano grazie ai colpi del phasing – che, adesso posso scriverlo, è stato realizzato cosi: prendendo a pugni il tavolo dove si trova lo stereo che ha riprodotto questi vecchi dischi blues, così da farli saltare. Un’interessante ispirazione al fastidio che sa di eresia. Ma l’esicasmo, a dire il vero, portò solo ad un breve scisma a Bisanzio – e alle note acustiche, per un disco che pare arrivare da un ipotetico periodo post-atomico. Ma non c’é desolazione: c’é qui, più che altro, la serenità dei sopravvissuti.
Sono per strada, sotto il tendone di un bar… la luce blu è inzuppata… le sedie di ferro sono li a impregnarsi del tempo. Davanti a me, una piazzetta buia, condannata a stare li per sempre. Vedo piccoli puntini in movimento… persone, come me.
[Album integrale qui https://icasa.bandcamp.com/album/cuore-esicasta]
(70/100)
(Edoardo Maggiolo)