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Il ritorno di Phil Elverum con il moniker Mount Eerie è un doppio album pieno di ombre e di nebbia, un’opera oscura e misteriosa che guarda a dovuta distanza e con una certa disillusione il cielo sereno che nel frattempo si vede in lontananza nei nostri binocoli. Monumentale e dolcemente caotico, Night Palace è un manifesto di poetica che abbraccia l’intera carriera di Phil Elverum sia come Microphones che come Mount Eerie, il culmine di una climax che ora diviene summa e al tempo stesso rito passaggio di un percorso artistico sempre coraggioso e affascinante.
A cinque anni di distanza dal disco collaborativo con Julie Doiron e a sei anni da Now Only, Phil Elverum ritorna con un doppio album che si muove negli inferi della psiche umana per ottanta minuti, provando a riemergere dalla voragine e dalle nebbie in cui nasce e si sviluppa, procedendo in questa strada sterrata con convinzione e con sincera dedizione. La produzione di Elverum dal monumentale A Crow Looked at Me in avanti è soprattutto un doloroso ripercorrere e analizzare i lutti che ci segnano senza mai smettere, però, di restare ammaliati dalla bellezza del mondo che ci circonda e dalla nostra difficoltà a descriverlo e a comprenderlo. Per questo i lampi di luce non mancano mai. Qui Elverum, come già molte volte ha fatto, pone domande a sé stesso e alla sua stessa arte, provando a indagare che cosa sia lui e che cosa sia la sua musica. Dopo venticinque anni di carriera è ancora in fieri, è ancora in movimento, è ancora dubbioso sul da farsi e su dove andare.
Questa meravigliosa e onesta ricerca è presente, in modo sparso ma continuo, in Night Palace. Le atmosfere immaginifiche e immersive che dipinge, così diverse tra loro e tutte così ammalianti, finiscono per intrappolare l’ascoltatore e trascinarlo in un a parte scenico che lo coinvolge e lo aliena al medesimo tempo. Nonostante ciò, o forse, anzi, proprio grazie a ciò, la musica di Night Palace suona diretta e fascinosa. Ci sono alcune delle canzoni più dolci ed emozionanti di Elverum, come “Broom of Wind” e “I Saw Another Bird”, entrambe nel primo disco, che camminano in un magma di suoni e di note avvolgenti. Sempre nella prima parte dell’album spiccano anche la gemma “I Walk”, che ribadisce quanto Elverum sia un cantautore dallo stile e dalle capacità liriche e melodiche unici, la concisa ed elegante “Blurred World” e il caustico lo-fi di “Huge Fire”, dove Elverum canta che «Nothing but me and all this shattered wood I’ve been pulling / Into a heap of flames and smoke: this is my life».
Il disperato tentativo di voler vivere in quella condizione di serenità e di securità che è propria solo degli dèi e dei saggi, quell’atarassia stoica così difficile da raggiungere, è agognato e ricercato in lungo e in largo da Night Palace. Ovunque si scontra, però, con le tragedie che affliggono da sempre gli esseri umani, come la malattia, la morte, la paura e la solitudine. Il secondo disco sembra un grido di battaglia nei confronti di questi giganteschi ostacoli e delle tante ingiustizie che funestano le vite dei singoli e dell’umanità tutta. Le grida del caos deliberato di “Breaths” vengono ben presto inghiottite dai singhiozzi di “Swallowed Alive”: un certo folk-rock sanguigno che già era emerso nella prima parte dell’album trova ancor più spazio adesso. I fantasmi dei nativi americani sul cui genocidio è stato costruita la nazione in cui Elverum è nato e cresciuto lo perseguitano, e lui vuole esserne un sincero e fedele alleato.
La fragorosa e spiazzante “Non-Metaphorical Decolonization”, costruita nettamente a dittico, lascia sbigottiti e quasi impauriti. Le medesime vibrazioni sono emanate anche dalla tagliente e ipnotica “Co-Owner of Trees”, le cui chitarre elettriche diventano sin da subito soffocanti e inquietanti. «Now we live in the wreckage of a colonizing force / Whose racist poison still flows», canta Elverum come se stesse recitando una sorta di incantesimo. La potenza catartica di questi brani lascia entrare in essi la forza della natura: in queste canzoni Elverum cerca di conciliare le diaboliche seduzioni verso un inevitabile nichilismo dettato dai fatti con la possibilità di imboccare un’altra direzione, più complessa e più combattiva, per ricostruire e per ripartire. Che si tratti della breve ma importante presenza della figlia in un brano o dei pezzi dedicati alla nuova compagna, Elverum catalizza su di sé e in Night Palace passato, presente e futuro ponendoli tra loro in un dialogo propositivo e di ampio respiro: un viaggio nel quale, per fortuna, nulla è già scritto.
(80/100)