Share This Article
#tbt
Nel parlare di brit-pop legato a aree geografiche ci vengono in mente inevitabilmente Londra e Manchester. Tuttavia se consideriamo che ha radici profonde nella scena indie di fine ottanta come nel repertorio di (almeno) una grande band dei sessanta (i Beatles), c’è un’altra città che ha assunto un ruolo fondamentale.
Parliamo di Liverpool. Dove i nomi di Echo & The Bunnymen e The La’s risultano abbastanza familiari ai più – dalle ceneri dei secondi nasceranno i millionseller Cast – troviamo scavando un’altra esperienza, turbolenta ma comunque decisiva, negli Shack guidati dai fratelli Michael e John Head.
Facendo un passo indietro, c’erano una volta i Pale Fountains: giovani del Merseyside tanto imbattibili nello scrivere canzoni (“Jean’s Not Happening”, “Something On My Mind”) quanto dediti all’abuso di sostanze, in particolare alcool e eroina. Un fantasma che accompagnerà Michael fino a tempi recenti, dichiarando all’uscita di “Dear Scott” che quello era il primo disco che faceva da sobrio – nel 2022. Si avvicendano così altri musicisti e il nome cambia in Shack: bisogna aspettare il 1988 per l’album “Zilch”, passato totalmente inosservato nonostante la collaborazione con Ian Broudie (titolare di altri futuri millionseller, i Lightning Seeds) e i relativi videoclip promozionali.
Michael e John non si danno per vinti, registrando le loro canzoni migliori tra il 1990 e 1991 per un lavoro che titoleranno “Waterpistol”. C’è Chris Allison (poi con Beta Band e Coldplay) al desk, però l’album si farà ricordare per altro: succede infatti che a lavori terminati lo studio di registrazione prende fuoco e il master viene distrutto. Non se ne farà più nulla fino al ’95, quando Allison ritrova il DAT tape dell’album che aveva smarrito in un auto a noleggio negli States. Uscirà per Marina Records questo piccolo capolavoro, ideale bridge fra il sound di Stone Roses e Charlatans (“Dragonfly”) con le tendenze sperimentali del nuovo millennio insite nei Doves (“Neighbours”, “Time Machine”). Ironia della sorte, anche il trio guidato da Jimi Goodwin ha vissuto sulla propria pelle il dramma di un incendio in studio.
Nella stasi post-registrazione Michael cade in un incubo fatto di MDMA, vivendo da spettatori la fama dei nuovi gruppi inglesi. Mentre escono con un nuovo repertorio affine al folk psichedelico di Love e Velvet Underground sotto il nome The Strands, si opta per tornare sul progetto Shack. Assoldano Youth, recentemente dietro a “Urban Hymns” dei Verve, e tra i Rockfield e i Town House incidono “H.M.S. Fables”, che sarà un successo di critica: al n. 2 degli album del 1999 per NME e Uncut, 5 di Select. Una fugace apparizione nelle charts spiega solo in parte la bellezza dell’album, orchestrale in “Comedy”, impetuoso per “Streets Of Kenny”. “I Want You”, nelle mani di gente più smaliziata, la celebreremmo come uno degli inni del britpop.
“Here’s Tom With The Weather” e “…The Corner Of Miles And Gil” completano una discografia da recuperare senza indugi. Io li ho scoperti grazie al Best Of pubblicato dalla Sour Mash di Noel Gallagher (“Michael Head è il più grande songwriter della sua generazione”), e approfonditi in una bella chiacchierata con Francesco Amoroso (grazie!!!), firma di Rockerilla e TristeSunset, con il quale abbiamo ripercorso in onda su Neu Radio tutta la carriera di Michael Head: potete ascoltarci nel podcast qui sotto. Quel Mick che oggi dichiara senza rimpianti che la musica lo ha salvato.
(Matteo Maioli)