Buongiorno, buon pomeriggio o buonasera. Ecco a voi dieci dischi – più una ristampa di un vecchio album del passato – che vi consiglio di portarvi via da questo 2024 musicale:
- Charles Lloyd – The Sky Will Still Be There Tomorrow
Lloyd è un vecchio leone del jazz con lo spirito di un giovane e la saggezza dovutagli dall’età; giunto alle 86 primavere, compone – con Jason Moran al piano, Larry Grenadier al contrabbasso e Brian Blade alla batteria – un’elegia all’America in un doppio album post bop che è assieme storia personale, ispirazione dal presente e balsamica idea sul futuro. Disco intenso, da trattare come un dono.
- Mabe Fratti – Sentir Que No Sabes
Il quarto album della violoncellista Mabe Fratti è un equilibrato punto di incontro tra astrattismo e veicolazione pop. Intelligente, intrigante e in alcuni casi anche sorprendente, sospeso com’è tra momenti cameristici e altri più canzonieri; il tutto però filtrato con una sensibilità acustica quasi cubista.
- Beth Gibbons – Lives Outgrown
Il primo disco solista della cantante dei Portishead é una riflessione sul tempo – sia fisico che mentale – che passa; dieci brani giocati su un ampio ventaglio strumentale – chitarre, archi, percussioni varie, liuti, tastiere… – ma convogliati in un timbro abbastanza omogeneo, che guarda ad una folk music concreta e terrosa. Sopra questo terreno naturale, a volte regolare a volte più sconnesso, c’è la voce della Gibbons, ancora oggi affascinante nel suo porsi fuori dal tempo.
- Mary Halvorson – Cloudward
Da qualche anno, la chitarrista jazz statunitense Mary Halvorson ha raggiunto gli onori della scena della musica improvvisata: e non senza ragione. “Cloudward” è forse il suo lavoro migliore, equilibrato nel filtrare momenti più ariosi ad altri più obliqui, inzuppati in un magma sonoro cangiante e metropolitano. Registrato in sestetto e pur rimandando, nel suo equilibrismo tra bop e free, a certe sedute sperimentali della Blue Note anni ‘60, l’album si fa rappresentativo anche di un certo bollore di una parte della scena jazz newyorkese, risultando cosi di stretta attualità.
- Arooj Aftab – Night Reign
Misteriosa, sensuale e seducente, la musicista e cantante pakistana- ma newyorkerse d’adozione – realizza un disco sospeso tra cantautorato e jazz, profumato come un gelsomino in una sera primaverile; leggermente speziato quel tanto che basta per pizzicare anche il palato più raffinato, con una voce soffusa contorniata da strumenti a corda – , arpe, chitarre, oud -, percussioni e tastiere. Un lavoro che scava con dolcezza nelle profondità delle ore notturne, nei loro sospiri e prese di coscienza.
- Jlin – Akoma
Pulsa, respira, reagisce: più che un disco, “Akoma” – terza registrazione della producer americana Jlin- è un organismo in costante mutazione: un album di elettronica fatta di funabolismi ritmici, traiettorie imprevedibili e improvvisi, misture elettroacustiche. Si guarda certamente al footwork di Chicago, innervandone però i sistemi con umori idm e di classica contemporanea – portati in dote anche dalle lussuose collaborazioni con Bjork, Kronos Quartet e Philip Glass. Una profezia frastagliata, in equilibrio tra tribalismo e futurismo sonoro.
- Micheal Kiwanuka – Small Changes
Non stupisce certo per inventiva l’ultimo lavoro di Micheal Kiwanuka, musicista e cantante britannico; “Small Changes” si presenta acusticamente come un debito sonoro dei grandi classici del soul. Ma a colpire, qui, è l’espressività; la sensazione di intimità che sgorga con tranquillità e calore dalle pieghe di questo lavoro, simile ad un segreto confessato all’orecchio. Aiutano, in questo senso, anche il timbro dolce e tostato della voce di Kiwanuka, oltre che il magnifico lavoro di produzione sonora. Un album che è una coperta di lana in una giornata di pioggia sottile e dannatamente fredda; un ascolto di puro piacere. E scusate se è poco.
- Patricia Brennan – Breaking Stretch
Disco di di jazz contemporaneo che vibra, danza e rimugina allo stesso tempo, questo “Breaking Stretch” della vibrafonista Patricia Berennan. Una ricca frontline di fiati (Mark Shim al tenore, Jon Irabagon all’alto, Adam O’Farrill alla tromba) che ingrossa la portata del suono come fosse una mini big band e una sezione ritmica che è labirintica senza però perdere un’oncia di groove (Kim Cass al contrabbasso, Marcus Gilmore alla batteria, Mauricio Herrera alle percussioni) registrano una musica dai sapori latin, sinuosa ma al tempo stesso d’assalto. Un altro tassello nella personale evoluzione di una delle voci più intriganti del jazz odierno.
- Kali Malone – All Life Long
La compositrice contemporanea americana non è facile a compromessi: anche quest’anno licenzia un album lungo, denso, rigoroso. Ma lasciarsi scoraggiare è peccato: tra austere composizioni per organo, strumenti a fiato e altre ancora per coro, la Malone ci presenta un album di liturgica umanità. Una riflessione sulla stasi sonora, tra drone music e contemporanea che, con virtuosa calma, trascende in un altrove luminoso; tendete la mano e fatevi trasportare.
- Kenny Barron – Beyond This Place
Prendete una vecchia volpe del piano jazz e mettetelo assieme a dei collaboratori abituali (Jonathan Blake, alla batteria; Kyoshi Kitagawa, al contrabbasso); unite a questi un altro bucaniere della musica improvvisata (Steve Nelson, al vibrafono) e insaporite il tutto con uno dei giovani più celebrati del panorama jazzistico contemporaneo (Immanuel Wilkins, al sax). Kenny Barron (pianoforte) qui swinga con perizia, classe ed entusiasmo, in un disco jazz “straight” di puro divertimento e qualità. Senza volerlo, ti si stampa sopra un sorriso di felicità, man mano che le note si spandono nelle orecchie…
*****
(La Ristampa Dell’Anno)
- Philippe Sarde – Romy Schneider, Un Potrait Musical
Come si fa a non voler bene alla nostrana CAM Sugar? Con un archivio di colonne sonore di dimensioni bibliche e di qualità che per quanto mi riguarda vale tanto oro quanto pesa, si impegna da anni, con amore e devozione, a diffondere il verbo dell’arte della musica da film. Quest’anno, in una liason d’intenti con la celebre Decca Records, l’etichetta italiana ha ristampato, in un unica raccolta, quattro colonne sonore di Philippe Sarde, uno dei più grandi compositori francesi di musiche per il cinema. “Les Choses De La Vie”, “César e Rosalie”, “Max Et Les Ferraieuls”, “Une Histoire Simple”: tutte musiche di Sarde per pellicole – datate da fine anni ’60 a fine anni ‘ 70 – con protagonista l’incantevole Romy Schneider e la direzione di Claude Sautet. In questi lavori, Sarde lascia sul nastro languori e tenerezze, ma anche efferatezze sonore imperdibili, a testimonianza di un triangolo equilatero d’inventiva tra regista, attore, compositore che era prezioso sodalizio artistico.