The Human Fear è il sesto album dei Franz Ferdinand, prodotto insieme a Mark Ralph (Hot Chip, Clean Bandit) al desk anche per l’album del 2013 Right Thoughts, Right Words, Right Action.
Il primo aspetto da sottolineare, di una band per cui estetica e stile sono importanti quanto il suono, riguarda la copertina, ispirata all’autoritratto 7 Twists dell’artista ungherese Dóra Maurer. Il lavoro di Maurer ha colpito perché suscita esattamente ciò che desiderano dalla loro musica: un’immediatezza sorprendente e impossibile da ignorare, ma con una profondità e vulnerabilità che meritano più ascolti e ripetizioni soddisfacenti. Mentre passando al contenuto, si può dire che i Franz Ferdinand mettono ancora una volta nel mirino il pop, il glam e il desiderio di fare ballare i fan. A tratti riuscendoci (“The Doctor”).
Non è mancata severità in passato nel giudicare i loro lavori, ma almeno oggi riusciamo ad arrivare in fondo alle canzoni (la durata di trentacinque minuti totali dà una grossa mano). Il video del primo estratto “Audacious” è stato girato da Andy Knowles, location il mitico Barrowlands di Glasgow, e il pezzo stesso indica la direzione dell’album: opporsi ai momenti più cupi della vita con un’esplosione di divertimento, guardando le cose attraverso una lente “audace”. Interessante nei suoi repentini cambi di passo, melodia alla Kinks e un chorus in zona Queen ma svuotati di pomposità. “Everydaydreamer” regala meno sorprese pur offrendo un funk appiccicoso e un bel lavoro di synth di Julian Corrie, che ha aiutato Kapranos e il bassista Bob Hardy nella composizione dei brani.
The Human Fear rivela in ogni suo episodio due facce di sè, una più articolata e con l’intera band protagonista (una squillante “Night Or Day”, “Cats”) e l’altra ruffiana e ad effetto, con “Tell Me I Should Stay” o una “Hooked” buona giusto per raccogliere play su Spotify – una immersione nell’electro in voga negli anni zero. “The Birds”, a chiudere la raccolta, mette in scena un duello di chitarre acide e imbizzarrite con Dino Bardot, l’ex-1990s, novità in line-up insieme alla batterista Audrey Tait. Probabilmente insieme all’opener, gli highlights di un album che viaggia a chiaroscuri ma senza dubbio più stimolante di Always Ascending.
Le curiosità arrivano da “Build It Up”, dove il gruppo flirta con il soul ma come lo farebbero i Devo, e da una “Black Eyelashes” che riporta in auge il sirtaki nel 2025. Mi meraviglierei di ascoltarle dal vivo in uno degli appuntamenti italiani: si parte il 20 febbraio dal Fabrique di Milano, per poi tuffarci nell’estate con il vicentino AMA MUSIC Festival (28 agosto), la data in Torlonia offerta da Acieloaperto (29 agosto) chiudendo con il Summerfest al Parco della Musica di Roma il 30 dello stesso mese.
67/100