TOP 10 ALBUM
10. MAGDALENA BAY – Imaginal Disk
Se “Mercurial World” aveva regalato buone sensazioni, con “Imaginal Disk” il duo di Miami va oltre. In questo nuovo lavoro confluiscono spunti danzerecci, traiettorie vagamente progressive, in parte anche figlie delle esperienze pre-Magdalena Bay, momenti chillwave e un pop che sa essere anche piuttosto puro. Il collante fra tutte queste idee è una robusta caligine psichedelica, il resto lo fa una produzione (iper) curata. Fresco, divertente, persino in grado di disorientare, ma sempre estremamente compatto.
9. BEAUTIFY JUNKYARDS – Nova
“Nova” può essere il disco della consacrazione definitiva per la band portoghese. Nel solco degli ottimi “Cosmorama” e “The Invisible World of Beautify Junkyards”, “Nova” continua a navigare dolcemente sulle acque tiepide dell’hauntology e vive ancora di una genuina tensione fra folk acido e trip hop. I collage vocali, le atmosfere cinematografiche, le carezze lounge e un’elettronica vellutata sono i tratti distintivi di un lavoro che vede anche la partecipazione di Paul Weller e Dorothy Moskowitz, concedendo un finale ascetico e straniante.
8. NALA SINEHPRO – Endlessness
Nala Sinehpro è (già) diventata grande. “Endlessness”, il secondo lavoro lungo dell’artista (e arpista) di origini belghe e caraibiche ma di stanza a Londra, è un momento di abbandono totale a una formula ambient jazz – per quanto lei non ami particolarmente la locuzione – che somiglia a un’opportunità di catarsi, un’esortazione alla lentezza e un invito ad abbassare la voce in un mondo che corre e urla. Eppure in “Endlessness” non c’è nulla di politico: solo elucubrazioni spiritual-filosofiche sull’esistenza umana in un disco caldo e avvolgente, complesso ma delicato, scandito dai dieci “Continuum” numerati in sequenza.
7. GOAT – Goat
“Goat” è il terzo disco in tre anni per il misterioso collettivo nato a Korpilombolo, nell’estremo nord della Svezia, e attualmente residente a Göteborg. Seppur privo di particolari elementi di novità rispetto alla produzione più recente della band, “Goat” è una delle manifestazioni più fulgide di un’intera discografia ed è un lavoro in grado di consolidare una proposta psych world che, negli anni, non ha mai accennato a smettere di funzionare. Denso di groove, immerso in un mondo ancestrale, impreziosito da una strumentazione corposa, “Goat” rapisce e conduce in luoghi e tempi altri, in parte immaginati, sicuramente poco familiari, ma in cui si vive benissimo.
6. BOB VYLAN – Humble as the Sun
Punk negli intenti e nello spirito, ma in diversi momenti anche nel sound, “Humble as the Sun” può essere il disco hip hop dell’anno, per quanto non manchi concorrenza di alto livello. Il duo londinese torna con un lavoro ispirato e urgente come mai, in grado di racchiudere ancora (e meglio che in passato) visioni politiche nitide, oltre a una rabbia che non è destruens e non declina mai in un qualunquismo fine a sé stesso. A impreziosire il tutto ci sono anche alcune intuizioni musicali raramente esplorate in passato, fra cui l’elettronica in orbita big beat di “Reign”.
5. LIP CRITIC – Hex Dealer
Alla seconda prova in studio, i Lip Critic potrebbero aver già svoltato. La formula di “Hex Dealer” sintetizza il punk, in saldo equilibrio fra traiettorie post- e pulsioni danzerecce, un hip hop frenetico e tanta elettronica sospesa fra sfumature industriali e rave. Tanta carne al fuoco, mai realmente riducibile a un solo genere anche se spesso racchiusa nell’etichetta “digital hardcore”, ma “Hex Dealer” scivola fluido e conserva omogeneità e freschezza per tutta la sua durata.
4. KIASMOS – II
A dieci anni dal debutto, Ólafur Arnalds e Janus Rasmussen tornano con un lavoro pensato per incarnare, ancora, il concetto intrinsecamente ossimorico di “rave emozionale”. L’intento dichiarato era quello di proporre idee elettroniche poco convenzionali, ma l’esito di alto livello si spiega prevalentemente con la capacità di rendere riconoscibile e autentica l’interpretazione di un sound tutt’altro che inesplorato negli ultimi anni: l’ambient techno. Nessuna rivoluzione reale, dunque, ma nel lieve incalzare dei pattern di “II” si riflette anche un po’ della geografia del duo, l’Islanda: in questo equilibrio c’è tutta la grazia del nuovo lavoro firmato Kiasmos.
3. AVALANCHE KAITO – Talitakum
La sorpresa dell’anno, in un certo senso. O forse no, pensando al bel debutto di due anni fa. Gli Avalanche Kaito sono la creatura del burkinabé Kaito Winse, di professione griot, poeta e cantore impegnato nella conservazione delle tradizioni orali degli avi, del chitarrista belga Nico Gitto e del batterista e produttore francese Benjamin Chaval, questi ultimi anche noti come Le Jour du Seigneur in duo. Nel mezzo di riflessioni sulla vita, la morte e la rinascita, “Talitakum” prende i poliritmi tipici del continente africano e li mescola con una quantità di elementi impressionante: il rock, il post punk, l’hip hop, l’elettronica più industriale e i droni. Non esiste definizione di genere che non stia stretta a “Talitakum”, fra i dischi più belli dell’anno anche per la sua vocazione sperimentale e per la sua inafferrabilità.
2. GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR – No Title as of 13 February 2024 28,340 Dead
I GY!BE hanno sempre osservato il mondo e non hanno mai rinunciato a raccontare storie attraverso i movimenti lenti ed eleganti del post rock, per cui è difficile parlare di “No Title as of 13 February 2024 28,340 Dead” come qualcosa di completamente inatteso. Stavolta, però, i canadesi hanno fatto di più, raccontando, a loro modo, il dramma di Gaza e dei palestinesi con una narrativa riconoscibile e sempre lucida, oltre che in grado di concedere spazio alle emozioni. Poche parole, pochissime, disseminate qua e là: il resto lo fanno i titoli, quello del disco e quelli dei brani. Oltre alla bellezza tecnica del prodotto, c’è tutta la forza di una presa di posizione netta e senza compromessi di cui, almeno chi scrive, ha sempre sentito tremendamente bisogno.
1. CHARLI XCX – Brat
Il 2024 è stato il trionfo di Charli XCX su tutta la linea. “Brat”, che nel corso dei mesi si è caricato anche della forza dei meme, è una sequenza impressionante di hit potenti e adesive: quelle già esplose, quelle che potenzialmente esploderanno. “Brat” si cala nel contemporaneo con una facilità disarmante: è un disco che si proietta naturalmente verso il futuro, ma che sa pescare quanto serve da un passato non troppo remoto: in questo equilibrismo c’è tutta l’intelligenza di Charli XCX, sempre più icona del genere e, in senso lato, di un’estetica che trascende i confini della musica stessa.
Fuori dalla top 10, ma meritevoli di menzione
Suddivisi (a grandi linee) per genere – non necessariamente da Top 50.
Afrobeat, world, suoni dal mondo. Categoria dalle maglie un po’ larghe, ma funzionale per citare alcuni titoli. Si parte dalla world music e dal rock desertico di “Ngélar” dei Lair dall’Indonesia, per arrivare a Kaia Kater, canadese di origini caraibiche, che flirta con folk e world music in “Strange Medicine”; nel mezzo, si conferma Mdou Moctar con “Funeral for Justice” e il suo tishoumaren, ma c’è anche l’anglo-sudanese Sinkane con il divertente mix di afrobeat, funk, soul ed elettronica di “We Belong”.
Elettronica. Spiccano il debutto jungle di Nia Archives, “Silence is Loud”, e le decostruzioni club di Iglooghost, con “Tidal Memory Exo”; l’altro titolo, faticosamente scelto tra diversi meritevoli, è “Britpop” di A.G. Cook, che non è particolarmente britpop.
Folk. In orbita folk (e dintorni) brillano i greci Lefteris Volanis e Dimitris Pagidas, firme di “Outside The Long Walls”; il romanzo bucolico dei londinesi Tapir!, “The Pilgrim, Their God & The King Of My Decrepit Mountain”, è l’altro disco da ascoltare; e poi c’è lei, Beth Gibbons, con “Lives Outgrown”.
Funk. Elementi del genere sono comuni a tre bei dischi del 2024: “Love, Other” di Rosie Lowe, che attinge anche da soul e bossa nova; “Come Ahead”, probabilmente la migliore prova dei Primal Scream dai tempi di “XTRMNTR”; “It All Comes Down to This”, il gran ritorno degli A Certain Ratio.
Hip hop. Kendrick Lamar è sempre lui e “GNX” lo conferma; gli irlandesi Kneecap confezionano uno dei debutti più gustosi dell’anno con “Fine Art” e la sua attitudine punk; Infine, “Blue Lips”, una delle prove più belle di ScHoolboy Q.
Jazz. In questa categoria per comodità, Arooj Aftab è una delle esclusioni più dolorose dalla top 10: l’artista pakistana mescola jazz, folk e poetica ghazal in “Night Reign”, terzo (bellissimo) disco in appena quattro anni; “Y’Y” del pianista brasiliano Amaro Freitas è l’altro nome imperdibile, ma il jazz spirituale di Nubya Garcia in “Odyssey” non è da meno.
Metal. I nordici continuano a dominare la scena, dal black acido di “Muuntautuja” dei finlandesi Oranssi Pazuzu, al doom di “Men Guðs Hond Er Sterk” dei faroesi Hamferð. Ma c’è anche il prog di “Absolute Elsewhere” dei Blood Incantation dal Colorado.
Pop. Uno dei nomi dell’anno è quello di Cindy Lee, con la chicca lo-fi di “Diamond Jubilee”. La canadese è in ottima compagnia con la guatemalteca Mabe Fratti e il suo “Sentir Que No Sabes”, a onor del vero molto stratificato al suo interno, e Clairo, la cui crescita è certificata da “Charm”.
Punk. Il nome dell’anno è Big Special con “Postindustrial Hometown Blues”, confermando il momento storico florido del post punk, e crescono i Drahla con “Angeltape”; caciarone, e anche per questo molto divertente, “Cartoon Darkness” di Amyl and the Sniffers.
Rock. Ritorno in grande stile per i Cure: “Songs of a Lost World” è il miglior disco di Robert Smith e soci da una trentina d’anni a questa parte; c’è (sempre) St. Vincent, che con “All Born Screaming” si conferma una delle migliori artiste donne in circolazione; fanno bene anche i Mannequin Pussy con “I Got Heaven”, miglior prova di Missy e soci.
Songwriting. Parto da due titoli finiti idealmente a centimetri dalla top 10: “Mahashmashana” di Father John Misty, la cui titletrack può essere uno dei pezzi più belli dell’anno; “Underdressed at the Symphony”, il salto di qualità che serviva a Faye Webster; il terzo è “Tigers Blood”, la piacevole conferma di Waxahatchee.
Soul / R&B. Altri generi piuttosto in salute, quest’anno soprattutto grazie a Yaya Bey, forse la prima esclusa dalla top 10: nella sua parabola ascendente, “Ten Fold” è l’apice; “Find your Flame” dei Nubiyan Twist è un po’ costretto in questa categoria, ma meritava una menzione; infine, Michael Kiwanuka: “Small Changes” è un bel lavoro, anche se forse non il suo migliore.
Non molto classificabili, ma sicuramente belli. Per arrivare a fare numero tondo, altri tre dischi che fluttuano nelle zone di confine fra generi. “Pollution Opera”, innanzitutto: il disco realizzato dall’egiziana Nadah El Shazly e dalla gallese Elvin Brandhi, con la loro elettronica d’avanguardia, ma anche “A Chaos of Flowers” dei Big|Brave, drone music tra folk e metal; infine, “News of the Universe”, il surfedelico ritorno dei La Luz.
Recap, in ordine alfabetico:
- A. G. COOK – Britpop
- A CERTAIN RATIO – It All Comes Down to This
- AMARO FREITAS – Y’Y
- AMYL AND THE SNIFFERS – Cartoon Darkness
- AROOJ AFTAB – Night Reign
- BETH GIBBONS – Lives Outgrown
- BIG SPECIAL – Postindustrial Hometown Blues
- BIG|BRAVE – A Chaos of Flowers
- BLOOD INCANTATION – Absolute Elsewhere
- CINDY LEE – Diamond Jubilee
- CLAIRO – Charm
- DRAHLA – Angeltape
- FATHER JOHN MISTY – Mahashmashana
- FAYE WEBSTER – Underdressed at the Symphony
- HAMFERÐ – Men Guðs Hond Er Sterk
- IGLOOGHOST – Tidal Memory Exo
- KAIA KATER – Strange Medicine
- KENDRICK LAMAR – GNX
- KNEECAP – Fine Art
- LAIR – Ngélar
- LA LUZ – News of the Universe
- LEFTERIS VOLANIS & DIMITRI PAGIDAS – Outside the Long Walls
- MABE FRATTI – Sentir Que No Sabes
- MANNEQUIN PUSSY – I Got Heaven
- MDOU MOCTAR – Funeral for Justice
- MICHAEL KIWANUKA – Small Changes
- NIA ARCHIVES – Silence Is Loud
- NUBIYAN TWIST – Find Your Flame
- NUBYA GARCIA – Odyssey
- ORANSSI PAZUZU – Muuntautuja
- POLLUTION OPERA – Pollution Opera
- PRIMAL SCREAM – Come Ahead
- ROSIE LOWE – Love, Other
- SCHOOLBOY Q – Blue Lips
- SINKANE – We Belong
- ST. VINCENT – All Born Screaming
- TAPIR! – The Pilgrim, Their God & The King Of My Decrepit Mountain
- THE CURE – Songs of a Lost World
- WAXAHATCHEE – Tigers Blood
- YAYA BEY – Ten Fold
Qualche disco italiano, in ordine alfabetico:
- A MINOR PLACE – Songs Are Lying
- ABOVE THE TREE & DRUM ENSEMBLE DU BEAT – Afrolulu
- ADDICT AMEBA – Caosmosi
- ANY OTHER – Stillness, Stop: You Have a Right to Remember
- CLAUSCALMO – Passo Monteluna
- COCA PUMA – Panorama Olivia
- COSMO – Sulle ali del cavallo bianco
- EMANUELE TRIGLIA – Kin Moon
- GALATI – Cold as a February Sky
- HUGE MOLASSES TANK EXPLODES – III
- I HATE MY VILLAGE – Nevermind the Tempo
- JAMES JONATHAN CLANCY – Sprecato
- MARIA CHIARA ARGIRÒ – Closer
- MICHELE MININNI – Pop Archetypes
- PAOLO BENVEGNÙ – È inutile parlare d’amore
- PINHDAR – A Sparkle on the Dark Water
- PONTE DEL DIAVOLO – Fire Blades from the Tomb
- R.Y.F. – Deep Dark Blue
- SABASABA – Unknown City
- SUVARI – Buh!
- TAMBURI NERI – La notte
- TANZ AKADEMIE – Hullabaloo
- TRAUM – Traum
- WEEKEND MARTYR – Gastrin
- WHITEMARY – New Bianchini
Concerto dell’anno
Quella che l’anno scorso era una sezione con almeno una decina di bei concerti quest’anno si riduce, per forza di cose, a un singolo evento impareggiabile per bellezza:
LANKUM @ Primavera Sound Festival | Barcellona, L’Auditori | 1 giugno 2024.