Share This Article
Il disco che Robert Smith voleva scrivere prima dei 30 anni compie 30 anni. Praticamente un cortocircuito. O, meglio, una disintegrazione al quadrato. “Disintegration” infatti rappresenta la meditazione di Robert Smith sulla fine della giovinezza, sul diventare adulti, e cosa vorrà dire ora che Robert ha appena raggiunto i 60 anni? Cosa ci dice ancor oggi quel disco?
Significa ancora molto: “Disintegration” utilizza un linguaggio universale, per cui è sussumibile in quelle (poche) grandi opere che prescindono dalle epoche. Il 1989 influenzò ovviamente il suono (tipici di quell’epoca il rullante e le stratificazioni dei synth) ma non le canzoni in sé. Quelle avrebbero potuto essere scritte 100 anni prima o 100 anni dopo, ma solo da un ragazzo sensibile che si stava affacciando a compiere un’età a cui lui aveva associato l’idea di perdita della gioventù. Che aveva meditato su quel passaggio: infatti non sono importanti i 30 anni in assoluto, lo si sa che uno può essere giovane a 40 anni o vecchio a 20 a seconda del suo vissuto, delle sue esperienze e della sua mentalità. E’ fondamentale, nel procedimento di scrittura di “Disintegration”, l’aver cercato di comporre l’opera giovanile definitiva perché poi non lo si sarebbe più potuto fare. E questo anelito lo si percepisce chiaro in “Disintegration”.
Che non è un album depresso: certo, è dark perché i Cure lo sono sempre stati, è scuro se paragonato ai colori di “Kiss Me Kiss Me Kiss Me” (che uscì solo 2 anni prima, nel 1987, quanto contano anche solo 2 anni!), ma è piuttosto un album che affronta diverse tematiche complesse. C’è in primis la dichiarazione d’amore maturo di “Lovesong”, maturo perché solo chi oramai ha preso consapevolezza dei propri sentimenti e ha capito che non c’è nulla da perdere nell’abbandonarsi all’altro può essere così semplice e diretto nell’esprimersi rivolgendosi all’amata/o. Ci sono le fascinazioni del divertimento (e dello sballo) in “Fascination Street” e i momenti di abbandono di “Closedown” (“If only I could fill my heart with love”) .
Ma c’è su tutto, e non potrebbe essere così, quel sentimento di aver perso qualcosa, per sempre, di non riuscire più a raggiungere una cima scalata.
“And now the time has gone” (“Untitled”)
Ma non è ancora questo ad aver reso immortale “Disintegration”, è il modo con cui Robert ci ha descritto la definitiva presa di coscienza della finità che ha connotato il tutto di una visuale più chiara. Una descrizione onirica della perdita dei sogni, il che è in apparenza un concetto antitetico, ma a ben guardare non lo è. “I’ll never lose this pain / Never dream of you again”.
La consapevolezza della perdita della speranza (“Hopelessly drift in the eyes of the ghost again” / “You strangle me, entangle me in hopelessness”) non è vista infatti come disperazione, ma come accettazione. E’ compresa, è analizzata, è messa in preventivo. E’ come se Robert Smith fosse già giunto al punto massimo di sconforto, quello del pre-suicidio, e fosse tornato indietro per raccontarcelo ma con calma, con una elevata compartecipazione al destino umano, perché comune.
Si tratta solo di perdere i sogni, ci sta dicendo. E siccome questo sbatterci in faccia la realtà potrebbe gettarci nella disperazione, ce lo canta in maniera tranquilla (“It’s lower now and slower now”), sognante.
Accettatelo, sembra dirci, io l’ho fatto.
E c’è un elemento naturale che mi ha sempre colpito in “Disintegration”, l’acqua. Già in altri album Smith ci racconta di addii sotto la pioggia, e quindi nel suo immaginario l’acqua è molto spesso sinonimo di lacrime. Qui invece mi pare più che sia una cerimonia, e torniamo al rito di passaggio ( “I think it’s dark / And it looks like rain”), e alle preghiere affinché questo rito si compia nel modo più semplice possibile (“And prayers for rain”). Non è del tutto un sentimento religioso, è la descrizione umana delle celebrazioni dei tempi dell’uomo, o meglio dell’ultima festa (già mesta e nostalgica) prima dell’estrema fissità della maturità, della vecchiaia e della morte, tre concetti che sono come sinonimi per il Robert Smith di “Disintegration”.
E’ che quel sentimento di aver perso per sempre qualcosa è dentro di noi, e non ci lascerà mai. Potremo distrarci e sorridere, ma sarà solo per un secondo.
“I think I’m old
And I’m feeling pain” you said
“And it’s all running out
Like it’s the end of the world” you said
“And it’s so cold
It’s like the cold if you were dead”
And then you smiled for a second
(Paolo Bardelli)