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Sebbene questo disco sia uscito un anno fa, parlarne oggi non è una ammissione di “colpevolezza”, ma tanto più invece un modo per riaffermare con forza non solo il suo valore artistico e culturale, ma anche il suo contenuto ideologico, proprio dopo un anno in cui il tema della situazione in Nord Africa è diventato sempre più attuale, dopo l’accantonamento del sogno della “primavera araba” e le tragiche vicende dei migranti e in particolare tutto quello che sta succedendo in Libia. Peraltro va detto che anche se questo disco è uscito nel giugno del 2018, il progetto è stato rivitalizzato dalla pubblicazione di un singolo lo scorso marzo (“Zawali Fitness Club”) dedicato alla tragica situazione delle persone che sono costrette a vivere in condizioni di estrema povertà, anche qui una specie di manifesto che in maniera potente ci trasmette un messaggio diretto, forte, preciso.
“Maghreb United” (Glitterbeat) riprende quel concetto che è generalmente conosciuto come “afrofuturismo” e che con riferimento al continente africano, si pone su di un piano ideologico in allinea a quello che si è solitamente sempre detto della “world music” e in generale di tutto ciò che è considerato etnico. Ma il producer Sofyann Ben Youssef, che qui adotta il moniker Ammar 808 (numero che si riferisce alla celebre drum-machine tr-808 della Roland) e che si era già fatto conoscere per il suo lavoro con i Bargou 08, rifiuta in parte questa lettura. Viene in effetti più da pensare a una specie di “orientalismo” secondo la lettura di Edward Said e a alcuni contenuti ideologici proprio di uno scrittore libico come Hisham Matar, vincitore del Premio Pulitzer 2018 con “The Return: Fathers, Sons and the Land In Between”.
Ben Youssef è di origini tunisine e il disco nasce in effetti proprio durante tutta una serie di viaggi nel nord del continente africano, che lui qui mette idealmente assieme anche riunendo in un solo “partenariato” tradizione diverse come quelle berbere, arabe e generi musicali diversi.
Non stupisce quindi che il contenuto sia prevalentemente composto da pezzi della tradizione dell’area nordafricana, ma la loro interpretrazione pone su di un piano attuale la realtà di questa regione mettendo assieme strumenti tradizionali oppure fiati come il flauto e l’oboe (presente tra i collaboratori proprio Lassaed Bougalmi de gli Bargou 08) e soprattutto con i suoi lavori con i synth e le tastiere, la immancabile drum-machine e campionamenti. Infine non poteva mancare il lavoro di vocalist eccezionali, “pescati” non a caso tra Tunisia (il già citato Cheb Hassen Tej), Algeria (Sofiane Saidi), Marocco (Mehdi Nassouli, che qui suona anche il guembri).
Il valore di questo disco è assoluto: limitarne la considerazione a una singola pubblicazione discografica sarebbe limitante. Ha una portata sul piano culturale veramente notevole e il suo contenuto sul piano musicale è lontano da qualsiasi forma di parodia tipo Omar Souleyman oppure quella robaccia tipo Daft Punk che facciamo in Europa. Qui la musica ha un contenuto autentico, che è tradizione e allo stesso tempo è “velleità”, rappresenta la voglia di uscire da degli schemi in cui queste regioni sono state costrette sin dal colonialismo e poi in una storia difficile per tutto il secolo 1900 fino ad oggi e lo fa in una maniera che guarda al futuro, come speranza e voglia di affermazione di sé. E ci riesce benissimo. Vitale, pulsante di energia, puntuale, vero come la terra che puoi calpestare, ha il sapore del deserto e quello dell’acqua del mare.
90/100
Appendice: Bargou 08, “Targ” (Glitterbeat, 2017)
Bargou è un villaggio a valle tra le montagne che separano la Tunisia e la vicina Algeria, una località che data anche la propria specifica collocazione, ha sviluppato negli anni una propria cultura particolare e in un certo senso unico. È qui che nasce da Nidhal Yahyaoui il progetto Bargou 08. Nidhal, nativo della valle, raccoglie in questo album, denominato “Targ” e realizzato in collaborazione con il producer e tastierista Sofyan Ben Youssef, suo amico sin dagli anni di infanzia, tutto quello che fa parte della tradizione della sua terra, la musica e le tradizioni. Il disco è stato realizzato in sole tre settimane, dopo avere arruolato un collettivo di musicisti provenienti dalla Tunisia così come dall’Europa, ed è stato interamente registrato a casa sua a Bargou, una specie di rituale praticamente, perché per il posto ha costituito un evento e la scelta del resto di coinvolgere “persone da fuori” è stata fatta proprio perché tutti gli abitanti potessero in qualche maniera sentirsi finalmente parte di qualche cosa di più grande. Considerare solo il valore puramente “etnico” di questo disco, a parte che i suoni pure rimandando alla tradizione del nord-Africa sono chiaramente elettrici, non rimandano affatto a qualche cosa di perso lontano nel tempo, sarebbe quindi assolutamente superficiale. “Targ” è un disco che ci sbatte con forza in faccia come delle idee buone e una certa verve arrivi più facilmente dagli angoli più sperduti del mondo, invece che dalle grandi città e dalle dimensioni europee e degli Stati Uniti d’America. Questo succede perché c’è voglia di uscire, quella prepotente voglia che spinge gli uomini a spostarsi sin dalle origini così come spinge il feto a uscire fuori dal ventre materno e completare quel processo di fecondazione che è un atto privato, intimo, personale, individuale, ma evidentemente anche collettivo. Eccolo qui.
82/100
Emiliano D’Aniello