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Indie Rocket è un moto, allo stesso tempo caotico e ordinato, dell’anima di un territorio.
Alla base c’è una proposta per un vero, inusuale spazio in cui guardare, toccare, sentire, odorare e vivere qualcosa di veramente innovativo e alternativo.
Il festival è un portale, ed è intuibile già dalla prima sera, in cui si entra in un modo e si esce irrimediabilmente cambiati, o perlomeno con qualche ascolto nuovo da approfondire.
La prova di questo è nella struttura di un cartellone che va oltre la musica e cerca di abbracciare, nella maniera più ampia possibile, pubblici e anime diverse. Le sensibilità che entrano in gioco nel festival sono molteplici e permettono, anzi giocano, con la “radice” della parola scoperta: c’è infatti, in ogni angolo della zona festival una tensione continua allo svelamento, alla ricerca di strutture e addirittura sentimenti nuovi.
Anche l’uso stesso dello spazio è pensato per accogliere, per inglobare tutti, partendo esattamente dal concept dell’anno: le radici.
Il contatto con il terreno, con la “nuda terra”, è palpabile in questa prima giornata e siamo rimasti colpiti dai set che hanno dialogato al meglio con l’idea audace del festival.
DZ DEATHRAYS
Mattatori e devastatori assoluti della serata. Una potenza straordinaria che si coniuga con un quoziente di intesa tra i suoni, sparati, delle chitarre e un’armonia sul palco incredibile. Una storia che veramente mette in luce un rock che riesce ad uscire da una bolla di autocelebrazioni e di “quando c’era lvi”.
Il genere può essere cambiato, destrutturato, ma solo delle intuizioni così potenti e non allineate possono cercare di andare oltre il semplice significato della parola “rivoluzione”, cercando una nuova strada da percorrere.
I DZ DEATHRAYS sono dei Tame Impala, vista anche la provenienza, con centinaia di megawatt al quadrato e un’essenzialità di esibizione che tende alla purezza originaria, anzi radic-ale.
STONEFIELD
Stesso discorso, che vale per i DZ, ma ribaltato al femminile. Una band che mette al centro delle sue costruzioni sonore una cantante/batterista come Amy Findlay è un esperimento, un monumento di coraggio.
La voce e tutti i suoni sembrano uscire, sbucare direttamente dalla cassa toracica delle ragazze: tutto questo regala un impatto che, per gran parte dell’esibizione, lascia stregati.
Le progressioni di accordi e riff sono intarsiate in un tappeto ritmico in cui anche il sintetizzatore mette una nota, una vena di prog sporco e rabbioso.
Le Stonefield non sono solamente una mera celebrazione di una rivolta sociale che fa rima con la contemporaneità, ma sono una band che ruota intorno ad un songwriting incredibile e ad una rabbia che è ontologica, performante, catartica.
GUADALUPE PLATA
Un viaggio pieno di simboli e blues.
Un rock psico-totemistico e allegorico che è vero itinerario di freschezza e solidità. I Guadalupe Plata sono una band dall’anima complessa, multidimensionale, e tutto questo si tocca e si immerge in uno stile essenziale, che rimanda ad un universo di letture, significati, idee veramente interessanti e centrati al massimo sulla parola “radici” e sulle esplorazioni sonore che un festival come Indie Rocket riesce a fare.
Prima giornata di Indie Rocket archiviata: c’è, in queste sonorità, una ricerca dell’uomo che deriva proprio dalla radice “humus”, da quel fango primordiale che irrimediabilmente si confonde e sguazza nelle “radici” della nostra umanità.