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Sì lo sappiamo già, grazie tante. E no, questa volta non abbiamo nemmeno bisogno della nota a piè pagina da parte dello scafato di turno che ci metta in guardia sul pericolo della “mossa commerciale”. Quel “per reali esigenze artistiche” che nel comunicato stampa di qualche mese voleva giustificare la decisione della storica reunion è un’excusatio non petita già abbastanza chiara da non richiedere ulteriori delucidazioni:, operlomeno non da chi ha seguito le rispettive carriere da separati di Pelù e Renzulli affossarsi pian piano nel dimenticatoio generale. Tutta una “messinscena” per batter cassa, allora? Possibile, visti i numeri e i livelli di popolarità di cui si parla. Eppure il dubbio non ci toglie più di tanto il sonno, anzi: lasciando le insindacabili ragioni di cassa ai contabili dietro le quinte, si può dire che questa sia la ragione stessa per cui noi, migliaia di fans più o meno nostalgici, ci troviamo qui stasera, alla quinta data del fatidico reunion tour. Siamo qui per la messinscena, appunto: né più né meno.
Come gli abitanti delle poleis greche si recavano agli anfiteatri per assistere (in maniera un po’ più composta degli spettatori di un concerto rock, si crede, ma forse nemmeno troppo) alla rappresentazione dell’Edipo Re, già sapendo che Edipo avrebbe ucciso il babbo e giaciuto con mamma e che nessun colpo di scena avrebbe riscattato lo spettacolo dalla “solita storia”: allo stesso modo i loro lontani discendenti che compongono la platea di questa sera sanno molto bene ciò che li aspetta e non chiedono di meglio. E le ragioni per assistere a qualcosa che già si sa come andrà a finire sono in fondo le stesse di quattro migliaia di anni fa: la sacralità del rituale, il piacere della catarsi, il senso di comunità e l’immedesimazione personale. Spinti quasi tutti da forti motivazioni affettive nei confronti di chi si esibirà sul palco, siamo qui che aspettiamo di essere noi Edipo, per far quadrare i conti con un filo interrotto del nostro passato . E anche se la cosa sembrerà certo troppo drammatica, in un certo senso è così: siamo qui anche noi per “uccidere nostro padre”.
La stessa rappresentazione sembra costruita apposta per non deludere nessuno. La gran parte di noi ha le orecchie fresche dall’ascolto di “Stato Libero di Litfiba”, il live pubblicato di volata prima di ripartire con la tourneè estiva, e sa anticipare quasi tutto quello che avverrà sulla ribalta, dall’accoglienza a tamburi battenti di “Proibito” fin giù ai bis di arrivederci con “Lacio Drom” e “lo Spettacolo” (che “deve ancora cominciare”, promettono). In mezzo un paio di inediti quasi più realisti del re, in stile così severamente litfibiano da potersi mischiare tranquillamente fra il resto senza creare tanto scompiglio.
Ma non è soltanto la scelta (e l’ordine) dei brani in scaletta ad essere fedele a quella già proposta nella prima fase del tour e immortalate nel suddetto doppio disco (solo cinque o sei defezioni rispetto alla tracklist). La nuova formazione (ripartita in pari percentuali tra i rodies che accompagnavano il cantante da solista e i turnisti che appartennero ai LitfibasenzaPelù) ha intelligentemente ridotto il sound ai minimi termini, e ora suona un rock che resiste bene all’impatto con le arene senza mai osare di più di quanto non farebbe una cover band fedele al suo mandato. Tutta la parte “creativa”, se ne esiste una, è delegata alla prima fila: agli assoli tamarri e calcolati di un Ghigo in leggero appannamento e alle arringhe arruffapopoli di Pelù, tornato a vestire gli amati panni da retore di piazza. Persino le sue filippiche contro politicanti ladri e il pontefice cadono proprio dove cadevano nelle registrazioni, interrompendo la cesura fra la cavalcata di “Tex” e l’inciso riarrangiato della vecchia “Ferito” o afferrando puntualmente il gancio con le tematiche di “El Diablo” o “Bambino” (altro ripescaggio che è un’attesissima “sorpresa”). Tutti i momenti di conversazione con il pubblico (compresa la divertente gag d’attualità sulla morte e ressurrezione della loggia massonica P2) seguono in realtà un rigido copione rodato sera dopo sera, scatenando regolarmente applausi e boati, anche questi assolutamente di rito.
Per i gruppi che suonano un rock “da stadio” come i fiorentini, il live è un’attendibile prova del nove, buona anche per azzardare qualche pronostico sul futuro. Dopo dieci anni dalla separazione, i redivivi Litfiba sanno ancora far girare gli ingranaggi della loro macchina come si deve, assicurando l’esperienza “catartica” ai tanti che li hanno amati e garantendo a tutti gli altri due ore buone di spettacolo al netto di pretese artistico-intellettuali. Potrebbe andare avanti così per qualche anno ancora, basta non chiedere il fuoriprogramma.
(Simone Dotto)
Collegamenti su Kalporz:
Litfiba, Parco della Certosa Reale (Collegno, TO) (26 luglio 2010). Le foto.
I Litfiba esistono ancora. Che sciagura. (08.09.2009)
Litfiba – 17 Re
11 agosto 2010