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È purtroppo inevitabile fare qualche parallelo, se non individuare somiglianze, nella parabola di Tamino e quella di Jeff Buckley: se per quest’ultimo il fantasma familiare da replicare era quello del padre, nel caso del musicista belga è il nonno il personaggio importante che gli ha lasciato – inevitabilmente – un modello da superare. Muharram Fouad, classe 1934, oltre a essere il nonno di Tamino è stato uno dei più grandi protagonisti della cosiddetta età dell’oro del cinema musicale egiziano degli anni ’60, così popolare da essere soprannominato, in maniera altisonante, “The Sound of the Nile”. E basta ascoltare qualche sua registrazione per comprendere che sì, l’eredità è pesante perché Muharram Fouad cantava davvero bene. Ma suo nipote, e sveliamo subito il finale, lo supera. Perché se per Fouad pur sempre di canto modale eptafonico puro si tratta (cioè di canto arabo che utilizza tipicamente anche la metà dei semitoni), Tamino – nella sua identità belga di origine egiziana e libanese – meticcia questa modalità orientale di canto con la tradizione rock occidentale, con risultati che si fa fatica a non definire straordinari.
“Amir” è il suo album di debutto, uscito nel 2018 e colpevolmente non recensito qui su Kalporz, per cui l’occasione per commentarlo è la pubblicazione della Deluxe Edition, uscita il 18 ottobre 2019 con due tracce inedite, un paio di demo e performance registrate in diretta in studio con la Nagham Zikrayat Orchestra, formata da rifugiati medioorientali e già presente nella versione originale dell’album, e dal vivo a La Cigale di Parigi.
Ma è l’album in se stesso il vero oggetto già di culto di questo artista notevolmente fascinoso, 23enne che modula in maniera consapevole le proprie doti, con la prospettiva solo di migliorarle, attraverso un canto che riesce a restare – coerentemente con quel paragone scomodo di Buckley fatto all’inizio – in bilico tra forza e delicatezza, tra intonazione piena e falsetto, il che conferisce ai pezzi sfumature multicolore. Tendenzialmente malinconico (“Intervals”) ma anche puramente pop rilassato (“Tummy”), i termini più coerenti ce li fornisce lo stesso Tamino nelle sue interviste quando parla di “maestosità” e “trascendenza”, declinando quest’ultimo più come “spiritualità”. È indubbio infatti che “Amir” ha un lato spirituale evidente, e il relativo ascolto è un intimo colloquio verso qualcosa che è indefinito ma che personalmente ciascuno sa dove direzionare.
Del resto “Amir” è il secondo nome di Tamino e vuol dire “principe”, perché il principe Tamino è anche il protagonista del “Flauto Magico” di Mozart e il musicista belga voleva quindi mostrare appieno se stesso e la sua personalità (essere principe della stessa) manifestandola in maniera chiara ora che, ormai più che ventenne, ne ha preso coscienza. E la consapevolezza del suo talento si concretizza in un esordio sorprendente.
87/100
(Paolo Bardelli)