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Bill Brandt (1904-1983) è considerato uno dei più importanti fotografi inglesi del ‘900. Nasce però ad Amburgo da padre inglese e madre tedesca. Poi rinnegherà l’origine tedesca finendo per sostenere di essere nato nel sud di Londra.
I suoi lavori più noti, dopo la fase di fotografia sociale degli anni ’30, riguardano nudi e paesaggi. O meglio: vertono sull’utilizzo del nudo nel paesaggio e sul considerare il nudo “come paesaggio”. Le sue immagini sono fortemente distorte, al fine di creare prospettive e profondità che cerchino una sintonia compositiva con gli ambienti esterni, visti in un’ottica onirica ma, in qualche modo, alternativamente naturalistica.
Analogamente spiazzanti, e conturbanti, risultano i nudi realizzati in interni, dove i corpi femminili – pur alterati nelle proporzioni e nelle forme dalle lenti distorte e dai grandangoli, assumono morbidezze e levigatezze di grande sensualità – sembrano dialogare in una specie di immobile movimento con gli elementi di arredamento (letti, divani, mobili, specchi….).
Ma una cosa, tra le tante altre, mi rende particolarmente caro Bill Brandt: non era quasi per niente interessato alle fotografia come “momento della ripresa”. In effetti, i suoi più importanti lavori sono arrivati al massimo livello espressivo mediante la rielaborazione fatta in camera oscura, aggiustando o modificando tonalità, luci, densità e taglio delle immagini, in un modo molto più radicale ed estremo di qualsiasi altro fotografo. Lui scattava, ecco tutto, e poi il vero lavoro cominciava in sede di rielaborazione, dove le costrizioni e le imposizioni dl tempo “reale”, così come le fasi meteorologiche o la semplice alternanza di giorno-notte, perdevano senso a beneficio della totale libertà di creare qualcos’altro, qualcosa che, molto oltre la visione concreta, si agganciava e viaggiava nel suo mondo profondo, nascosto soprattutto a lui stesso.
Insomma il suo lavoro l’ho sempre sentito e visto come il lavoro di un poeta, occupato a lavorare con le immagini, con immagini all’interno delle quali si nasconde un testo, e il lavoro si fa soprattutto per poterlo leggere e capire. Visto che la poesia, alla fine di ogni discorso, altro non è che il tentativo di buttare fuori qualcosa che solo quando appare in superficie può forse raccontarci il proprio significato.
Poi c’è ancora un’altra cosa: nel maggio del 1984, acquistai in una libreria di Shoreditch, una copia usata ma in perfette condizioni del libro fotografico di Brandt Literary Britain, la infilai in una 24 ore che pure avevo appena acquistato (finalmente cosciente di quanto peso, fra libri, carte e accidenti vari mi portavo addosso ogni giorno) e da quel momento non me ne sarei separato più, e avrei sempre continuato a leggerlo, rileggerlo, guardarlo, riguardarlo, copiarlo (certo… perché no?), farne la base per tanti voli di fantasia, per un amore destinato a durare anni e anni per l’Inghilterra e per i suoi scrittori e per visite indotte ai tanti luoghi rivisitati in quelle immagini (stavo per scrivere “in quelle poesie”).
Brandt, dal 1948 al 1951, aveva viaggiato per tutto il paese, cercando I luoghi e le dimore dei poeti e degli scrittori più importanti e, soprattutto, più britannici in quanto a sensibilità e ambientazione. Il libro contiene circa 30 foto di queste locations in Inghilterra e Scozia, sempre accompagnate da qualche riga tratta dai testi di ogni autore. L’uso che Brandt fa del bianco e nero ha qualcosa di magico e irripetibile, sommamente evocativo ed elegante al tempo stesso, e sempre profondamente (anche se può sembrare un’ovvietà) letterario.
La tavola n. 9 del volume si chiama Wuthering Heights, naturalmente dedicata ad Emily Bronte, ed è accompagnata da alcune righe di Mrs.Gaskell che attestano come Emily avesse ambientato il romanzo in una costruzione del West Riding , nello Yorkshire, all’epoca chiamata “Top Whitens”.
Immagino che quasi tutti (chi più chi meno) conoscano la trama di Cime Tempestose, se non per aver letto il romanzo (del 1847), almeno per aver visto uno dei molti film o sceneggiati televisivi realizzati sulla storia.
Cime Tempestose non è solo il nome della casa della famiglia Earnshaw , posta su un’alta e ventosa collina, ma anche il simbolo della natura e della forza delle passioni che possono sconvolgere gli uomini. La storia dell’amore disperato e destinato ad infrangere le barriere del tempo e dello spazio tra Heathcliff e Catherine (Cathy), oltrepassa i confini anche rappresentativi del romanticismo, sconfina di volta in volta nella storia di fantasmi e nelle regole del romanzo tradizionale inglese come saga famigliare o romanzo di formazione, sempre mantenendo una potenza espressiva inconsueta, lasciando il lettore in un vortice di libere aggregazioni di segni e sogni che si scatenano nell’ambiente esterno, dove il vento e la tempesta fanno tremare le travi della casa e i cuori dei protagonisti.
Ma Wuthering Heights è anche il primo singolo (1978) della cantante inglese Kate Bush che ha scritto la canzone all’età di diciotto anni dopo aver assistito alla riduzione cinematografica del 1939, colpita, in particolare, dalle sequenze finali della pellicola (e dopo aver scoperto di avere in comune con l’autrice del libro il giorno di nascita, il 30 luglio).
ll testo si ispira alle riflessioni amorose e ai sentimenti di Cathy Earnshaw, tanto da riprenderne i passaggi essenziali. La canzone è insinuante e struggente, le parti vocali e l’arrangiamento pop-melodico costruiscono un tappeto sonoro dal quale la fenomenale voce sopranile di Kate sale e sviluppa vibrazioni e tensioni subito ricomposte e condotte verso colorazioni di pura emozione.
Il ritornello, che dice “Heathcliff, it’s me, Cathy. Come Home!!!”, non lascia scampo e rimane nella memoria, come la voce nella tempesta del romanzo. Perfino oggi, ogni volta che mi capita di guardare nuovamente la foto di Bill Brandt, mi accorgo che in qualche modo la sto canticchiando ancora…
So che la “Bronte Society” (associazione britannica per la diffusione e la tutela delle opere delle sorelle Bronte) espresse un solenne encomio alla cantante per questo brano.
Non so se l’associazione espresse la stessa soddisfazione per la foto di Bill Brandt. Ma credo che ad un artista di tale spessore non sarebbe importato comunque più di un tanto.
Mi piacerebbe invece credere alla superstizione locale dello Yorkshire, secondo la quale Heathcliff e Cathy, finalmente liberi di amarsi, vagano eternamente per la brughiera tenendosi per mano.
Marco Bucchieri (Roma, 1952) è uno scrittore, poeta visivo e fotografo, attivo sulla scena artistica fin dagli anni ’70. Il suo lavoro si concentra su simbolismo e allegoria, attraverso la realizzazione di mostre, installazioni di poesia visiva, immagini di valenza concettuale, e libri. Attualmente abita in provincia di Bologna, dopo aver vissuto in molte città italiane, a Londra e a New York.
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