Share This Article
Pensare agli Zephyrs significa pensare a vasti scenari dove l’immaginazione regna sovrana, distesa su un tappeto di accordi soffusi e delicati. Era così anche nel secondo “A Year to the Day”, che oltre a rendere omaggio agli Slowdive (laddove per i Nostri tutto cominciò), era caratterizzato da una tensione elettroacustica pressochè assente in questo nuovo capitolo.
Sì, perchè “Bright Yellow Flowers…” vive nella delicatezza elettrica di arpeggi di chiara matrice post collegati ad un’atmosfera che se da un lato ricorda effettivamente lo shoegaze più delicato – sì gli Slowdive, ma anche Mazzy Star – dall’altro paga la magistrale lezione impartita dal primo slow-core americano degli anni ’80, quello dei Galaxie 500 di “On Fire“. L’unica differenza risiede in un tessuto strumentale più pesante, in arrangiamenti più corposi e una tendenza folk che il gruppo di Dan Wareham ritroverà solo nelle sue successive reincarnazioni (Damon & Naomi su tutti) ma che è fondamento degli scozzesi (basti ascoltare l’emblematica “Galicia”).
Con questo terzo disco abbiamo la conferma di come gli Zephyrs siano capaci di scrivere canzoni capaci di toccare le corde dell’emozione, facendo leva ora su intrecci vocali (“A Friend”), ora su sfuriate elettriche (“So Called Beau”), definendo una formula che se non è originale, sicuramente riesce a non risultare noiosa o quantomeno reiterata. Insomma, siamo davanti ad un lavoro capace di ritagliarsi uno spazio ben definito, capace di ammaliare e di far sognare, di costruire un’atmosfera capace di staccarci dalla realtà quotidiana per farci immergere nel campo di fiori gialli cui allude il titolo raffigurato in copertina.
Particolarmente consigliato agli amanti dei suoni freddi, dell’inverno, delle notti stellate e agli orfani dello slow-core, della psichedelia rarefatta degli anni ’80 e del post-rock meno didascalico dei primi anni ’90. A fine mese verranno in Italia per una manciata di concerti. Sarebbe un peccato che chi abita in zona se li possa perdere.