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Nel Paese delle Meraviglie – dove Alice sconfina casualmente, sognando di inseguire un coniglio bianco – tutte le regole logiche, linguistiche, fisiche e matematiche sono in qualche modo parallele a quelle del mondo reale, risultandone inevitabilmente invertite e concretamente rovesciate. Perché la piccola Alice intraprende questo viaggio? Semplicemente perché desidera un altro punto di vista, una realtà e un paesaggio fisico e umano dove tutto è rovesciato, un mondo allo specchio..
Il romanzo, che contiene numerose chiavi di lettura, è comunemente visto come una metafora del processo di crescita.
Il Paese delle meraviglie permette ad Alice di scuotersi dallo stato di immobilità indotto dalla severa e noiosa educazione vittoriana, stimola la sua curiosità, la porta a guardarsi attorno, a ragionare con la sua testa, ad accettare che si può anche sbagliare e, comunque, a scoprire una nuova parte di sé, quella che la porterà a rivedere tutte le sue precedenti certezze e a crearne di nuove, grazie anche ai personaggi che incontra (Pinco e Panco, Il Bianconiglio, lo Stregatto, la regina, ecc.). E questo solo per rimanere in una lettura superficiale del racconto.
A me – che nei miei seminari cito molto spesso Alice – piace pensare che forse, imparando un’altra logica, la bambina incontra il corretto funzionamento delle cose, perché il sovvertire le regole le fa intuire come in fondo sia il gioco a dirigere il senso e non il contrario.
Il famoso dialogo con lo Stregatto ne è un esempio :
Alice: Volevo solo chiederle che strada devo prendere!
Stregatto: Beh, tutto dipende da dove vuoi andare…
Alice: Oh, veramente importa poco, purché io riesca a uscire di qui.
Stregatto: E allora importa poco che strada prendi, no?
Ancora una volta metafora esistenziale del fatto che per crescere, la strada da trovare non può essere una qualsiasi ma deve essere la propria.
Ma la storia, tra fantasia e realtà, è ancora più complessa. Lewis Carroll è anche un grande fotografo, un antesignano introdotto all’arte addirittura da Oscar Rejlander, uno dei pionieri della fotografia.
Per lui (che in definitiva è un… uomo “di Dio) la Fotografia si rivela ideale per esprimere ciò che chiamava bellezza: uno stato di grazia, di perfezione morale, estetica e fisica da cercare e trovare nelle arti, certo, ma anche nelle formule matematiche e soprattutto nella figura umana, specialmente se femminile, e specialmente se innocente.
Insomma: oltre la metà delle fotografie di Carroll sono di bambine, le quali (spesso fotografate nude) apponevano successivamente la propria firma in un angolo della stampa. Inutile dire che questa passione (dai risultati esteticamente meravigliosi: le immagini che ci sono giunte sono molto belle) gli creò una fama di “pedofilo”, quando invece il suo obiettivo era quello di liberarsi (e liberare le giovani modelle) dall’oppressivo fardello della simbologia vittoriana, immaginandole più come creature della natura piuttosto che come irreprensibili damigelle.
Ma Carroll fece ritratti anche per personaggi di spicco del suo tempo come John Everett Millais, Ellen Terry, Dante Gabriel Rossetti, Julia Margaret Cameron e Alfred Tennyson. Ora è considerato uno dei padri della fotografia moderna.
Tornando alle sue giovanissime modelle, sapete come si chiamava la sua preferita? Alice Liddell. Ed è proprio lei (figlia del decano di Christ Church di Oxford e della quale conosciamo perfettamente il volto) che nella fantasia di Carroll finisce nel paese delle meraviglie; è sempre lei che, esattamente sei mesi dopo il viaggio nel Paese delle Meraviglie, sonnecchiando su una poltrona del suo salotto, si chiede cosa ci sia dall’altra parte dello specchio e, con sua grande sorpresa, riesce a passarci attraverso ed a trovare una risposta alle sue curiosità.
Al di là dello specchio Alice incontrerà fiori parlanti, personaggi della scacchiera e stranissimi animali, oltre che tutti i personaggi delle sue filastrocche preferite (quelle tipiche della tradizione inglese) come gli assurdi gemelli Tweedledee e Tweedledum e Humpty Dumpty.
Ma Alice, mentre è occupata ad allargare ulteriormente il suo punto di vista visitando il paesaggio inquietante che è “dall’altra parte” dello specchio, non si accorge che, fermo e rigidamente bloccato, nei paraggi dello specchio stesso (proprio da dove è entrata lei) c’è anche un altro bambino, che forse potrebbe giovarsi molto dell’aiuto di Alice e della sua esperienza nell’altrove…
Tommy è un disco degli Who. Uscito nel 1969 è un capolavoro della storia del rock, un’opera dalla quale verrà poi tratto un film (omonimo) di Ken Russell.
Tommy è un ragazzo che assiste (da dietro uno specchio…) all’omicidio dell’amante della madre da parte del padre, aviatore britannico al ritorno dal fronte. I genitori di Tommy, ordinano al bambino di non dire, vedere e sentire nulla (See me, Feel me, Touch me, Heal me… è la canzone che come leitmotiv attraversa l’intera opera e che gli Who eseguiranno pochi mesi dopo al Festival di Woodstock, entrando definitivamente nella leggenda.
Tommy riceve l’ordine traumatico e diviene così muto, cieco e sordo. In pratica, è come se rimanesse “dietro lo specchio”, ma in un ordine sovrapposto e parallelo al reale, dove l’assenza di logica e il ribaltamento del senso comune, che per Alice si popola di buffe e paradossali figure in qualche modo didattiche, per lui diviene un autentico calvario, esposto com’è ad ogni tipo di violenza, abuso e sopraffazione da parte dei normali che lo circondano.
Ma poi avviene il riscatto: Tommy, viaggiando attraverso l’unica magia che può praticare, l’intuito, scopre di essere un fantastico giocatore di flipper.
In breve tempo sbaraglia chiunque altro, anche il più grande, il campione del mondo, che, sbalordito, lo chiama “Pimball Wizard” (mago del flipper) e, rivolgendosi al pubblico (nella canzone) cerca di spiegare cosa prova a vedere questo ragazzo che “gioca d’intuito. E’ cieco, muto e sordo ed è un mago del Flipper. Non ha nulla che lo distrae ma non può vedere le luci, i segnali, i colori, i flash, e non può sentire i campanelli e le vibrazioni della macchina. Lui gioca secondo il senso dell’olfatto, e non sbaglia mai..”
Tommy, una volta ricco e famoso, riuscirà però a riacquistare la normalità, la voce, l’udito, la vista… solo quando la madre distruggerà lo specchio, permettendogli così finalmente di “uscire dall’altra parte” e, magari, di incontrare da quelle parti una graziosa ragazza che, intanto (come lui, del resto), si è fatta proprio grande…
Marco Bucchieri (Roma, 1952) è uno scrittore, poeta visivo e fotografo, attivo sulla scena artistica fin dagli anni ’70. Il suo lavoro si concentra su simbolismo e allegoria, attraverso la realizzazione di mostre, installazioni di poesia visiva, immagini di valenza concettuale, e libri. Attualmente abita in provincia di Bologna, dopo aver vissuto in molte città italiane, a Londra e a New York.
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