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Molti ritengono che il rock sia morto dopo Woodstock. Forse. Ma ciò che è nato dalle sue ceneri è una creatura probabilmente più sofisticata, controversa, ed indiscutibilmente interessante. I primi anni ’70 vedono come protagonisti quei gruppi che hanno masticato il blues “bianco” degli anni ’60, orfani dei Beatles, disertori della contestazione.
In questo clima si staglia il magico “The Yes Album”, vero disco di rottura non solo nella carriera artistica degli Yes, ma nell’intero panorama musicale dell’epoca. Il clima lugubre e claustrofobico della copertina si scontra con l’atmosfera “cosmica” delle canzoni. Il brano d’apertura, “Yours is no disgrace”, dopo un riff iniziale in stile “Bonanza”, si snoda in una lunga cavalcata in cui il fraseggio di Steve Howe è l’indiscusso protagonista. E proprio questo chitarrista, nuovo acquisto della band all’epoca di “The Yes Album”, si rivela il vero “stregone” del sound degli Yes: la sua chitarra jazz così ingombrante e dal suono caldo e pieno, così lontana dagli standard del rock, dona ricchezza e corposità a quelle composizioni complesse ed articolate che da lì a poco diventeranno vere e proprie suite (già in questo album troviamo la consuetudine tanto cara ai gruppi “progressivi” di dividere i brani in più “movimenti”).
Questo disco forse non rappresenta la piena maturità degli Yes, ma gli ingredienti ci sono quasi tutti: gli elaborati contrappunti vocali, le liriche favolistiche e la voce fanciullesca di Jon Anderson, il basso “solista” di Chris Squire, il “drumming” raffinato e dal sapore jazz di Bill Bruford, le tastiere di un dignitoso Tony Kaye, prossimo al licenziamento, per essere sostituito dall’istrionico Rick Wakeman, e naturalmente il poliedrico Steve Howe, che in un solo album riesce a dare sfoggio della sua estrema versatilità: dal country/ragtime di “The clap” al rock “spaziale” di “Starship trooper”, dal delicato folk della prima parte di “I’ve seen all good people”, fino allo scatenato rock and roll dell’ultima parte della stessa canzone. La stagione del rock progressivo è iniziata. Grandi capolavori si alterneranno a lavori di indiscutibile pacchianità. All’interno di questo caotico calderone che è l’inizio degli anni ’70, “The Yes Album” rappresenta un piccolo gioiello di genialità e fresca ispirazione, consegnato alle generazioni future per ricordare che, proprio quando il rock viene dato per spacciato, esso è in grado di trovare nuove forme e nuovi linguaggi.