Share This Article
Magari a qualcuno è sfuggito, ma gli Yes ancora oggi producono nuovi dischi con una certa continuità. Quest’ultimo lavoro può contare, oltre che sull’immarcescibile e fedelissimo Chris Squire (presente in tutti i dischi degli Yes, sin dalle loro origini) e il quasi altrettanto fedele Jon Anderson, anche su Steve Howe, storico chitarrista della band. Completano la formazione Alan White, batterista del gruppo già dal 1973, e i giovani Billy Sherwood (seconda chitarra: un’aggiunta inedita per gli Yes) e Igor Khoroshev (alle tastiere; il suo modello è dichiaratamente Rick Wakeman). L’album, dobbiamo ammetterlo, non è un capolavoro: ma è una salutare boccata d’ossigeno. In mezzo a tanta musica contemporanea di bassa lega (non tutta ovviamente), fritta e rifritta, robaccia techno, rock sentito migliaia di volte, ebbene, anche questi Yes fine anni novanta si distinguono nettamente. Stilisticamente “The Ladder” si può definire una mescolanza di progressive e pop più tradizionale, ma la miscela complessivamente funziona, anche se non tocca livelli eccelsi. Punti a sfavore: la durata forse eccessiva del disco, che risulta come diluito; qualche cedimento, forse inevitabile, ad un rock un po’ commerciale. Punti a favore: Anderson in grande forma, con una voce che il passare degli anni sembra non avere intaccato; la canzone che apre il disco: “Homeworld (the ladder)”. Un brano di nove minuti e mezzo degno dei migliori Yes anni settanta, possente ed equilibrato, cantato benissimo. Si prosegue con “It will be a good day (the river)”, brano piacevole, cantabile ma non banale. Caratteristiche simili, con accenti danzerecci non spregevoli in “Lightning strikes”, hanno le altre tracce del lato A. Poi si inizia ad avvertire una certa pesantezza e monotonia: mancano soprattutto gli acuti, che dagli Yes in questa formazione prestigiosa sarebbe stato forse lecito attendersi in numero maggiore. Il disco comunque si mantiene piacevole, specialmente con “Finally”, costituita da una prima parte grintosa e molto rock, e da una seconda delicata. La breve “Can I?” è una palese citazione di “We have heaven”, dall’album “Fragile” del 1972, uno dei più famosi degli Yes.