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“Bologna 1980: il Concerto dei Clash in Piazza Maggiore nell’anno che cambiò l’Italia”
Il primo concerto italiano dei Clash non fu semplicemente uno dei più importanti eventi musicali di tutti i tempi per l’Italia. Tutto quello che accadde su e giù dal palco di Piazza Maggiore determinò una serie di azioni e reazioni che influenzano ancora oggi la vita culturale e contro-culturale del Paese. Lo dimostrano le testimonianze degli organizzatori, dei fan e della stessa band, oppure dei punk contestatori che portavano addosso le ferite del 1977, infine le parole di giornalisti e intellettuali che, forse, non compresero a fondo la portata sociale di quelle due ore di musica.
Tutto ciò nel 1980, l’anno in cui perdemmo definitivamente l’innocenza e che chiuse un Secolo con vent’anni d’anticipo.
Gli autori:
. Ferruccio Quercetti ha collaborato in maniera continuativa con le riviste musicali Music Club e Zero in Condotta, scrivendo occasionalmente anche per Sottoterra e Blow-Up. Chitarrista e voce nei CUT, è co-fondatore dell’etichetta indipendente GammaPop.
. Oderso Rubini è un produttore discografico, promoter, label manager, autore ed editore, tra i principali animatori della scena musicale italiana.
Ciao Ferruccio, quando hai conosciuto Oderso Rubini? L’idea del libro è strettamente legata al quarantennale del concerto o ci sono altre motivazioni?
Il libro nasce da un’iniziativa di Oderso Rubini. Io sono stato coinvolto perché – nonostante la mia veneranda età – qualche anno fa ho intrapreso un percorso di dottorato presso la University of Glasgow. La mia tesi è incentrata proprio sui rapporti tra il primo punk 1977 e la sinistra extra-parlamentare bolognese: com’è noto, il concerto dei Clash in Piazza Maggiore ha svolto un ruolo fondamentale in queste dinamiche. Inoltre, l’anno scorso ho pubblicato un capitolo – scritto a quattro mani con Giacomo Bottà, docente di Urban Studies presso l’Università di Helsinki – nel volume “Working for the clampdown: The Clash, The Dawn of Neoliberalism and The Political Promise of Punk”, una raccolta di saggi sul tema dei Clash e la loro dimensione
politica uscito per Manchester University Press. Il nostro intervento in quel volume è proprio
dedicato al concerto bolognese dei Clash del 1980; da qui la necessità di contattare e di
intervistare Oderso, una delle figure chiave per quell’evento e per il festival che lo ospitava. Ci eravamo già incontrati in qualche occasione in realtà e, già da tanti anni, conoscevo molto bene la Italian Records e l’apporto determinante fornito da Oderso alla scena indipendente italiana sin dalla seconda metà degli anni settanta. Lo scorso aprile Mr. Rubini ha chiesto la mia disponibilità per il progetto di un libro sul quarantennale di questo storico concerto: da grande fan dei Clash, del punk e da appassionato di quel periodo storico non ho potuto far altro che accettare.
Come vi siete “divisi i compiti” nella realizzazione di “Bologna 1980”?
Io mi sono occupato della narrazione della vicenda, con la stesura dei testi nuovi e in terza
persona, se così si può dire. Inoltre, ho intervistato Wilko dei Rats, all’epoca giovanissimo e
presente al concerto, come testimoniano tante foto che lo ritraggono in prima fila, Walter Vitali (futuro sindaco di Bologna nonché uno dei principali organizzatori del concerto e del festival Ritmicittà) e ho raccolto molte delle testimonianze incluse nel capitolo chiamato The Sound of Sinners, dedicato ai ricordi di chi c’era. La maggior parte degli interventi esterni però sono stati gestiti da Oderso che ha curato l’impaginazione e la grafica. Oderso ha raccolto tutto il materiale già uscito sulla carta stampata e online, le recensioni e le interviste del tempo (come quelle a Joe Strummer, Mick Jones e Topper nelle ore e nei giorni successivi al concerto) e il ricco archivio fotografico e iconografico di cui si avvale il libro. Ci sono comunque interventi realizzati per l’occasione da parte di Laura Carroli dei Raf Punk, Steno dei Nabat, Marino Severini dei Gang, Luigi Bonanni dei Centocelle City Rockers, Antonio Bacciocchi, i già citati Walter Vitali, Wilko e molti altri.
Nella prima parte si contestualizzano storicamente gli avvenimenti bolognesi e nazionali dal 1977 in poi, dalla strategia della tensione all’attentato in stazione del 2 Agosto, passando per l’omicidio di Francesco Lorusso. Cosa stava avvenendo nel mondo culturale del periodo?
In questa vicenda gli aspetti politici e culturali corrono di pari passo: nel corso degli anni settanta a Bologna nascono realtà quali il DAMS, i corsi di musica sperimentale al Conservatorio e il Teatro Sperimentale delle Moline, Radio Alice, riviste come A/Traverso di Bifo e cooperative multimediali come la Harpo’s Bazaar: tutte realtà che costituiranno la linfa dell’Ala Creativa in seno al Movimento extra-parlamentare. Nella seconda metà degli anni 70, Bologna diventa una città leader del Movimento proprio grazie a questo suo nuovo approccio alla lotta politica radicale. La Traumfabrik di Filippo Scozzari si impone come uno dei grandi laboratori di espressione visiva di un Movimento bolognese e nazionale che utilizzava la creatività, l’ironia e il sarcasmo come strumenti di lotta. La città diventa così un centro della cultura “antagonista” e dell’arte contemporanea: hanno luogo eventi incredibili, basti pensare alla Settimana della Performance con ospiti Marina Abramovic e Hermann Nitsch, oppure al treno di John Cage. Grazie a questo contesto particolarmente stimolante il punk a Bologna ha iniziato a prendere piede trovando alleati nel Movimento e nelle sue frange più futuriste, in seno alla Traumfabrik nasce il gruppo Centro D’Urlo Metropolitano, poi Gaznevada, predisposte ad un approccio dissacratorio e sbarazzino. In altre grandi città italiane dei ‘Movimenti’ il punk ha faticato a fare breccia, scontrandosi spesso con un approccio molto più ‘realista’ da parte degli attivisti che non tolleravano l’approccio provocatorio del punk, accusandolo di nichilismo e a volte di fascismo. Nonostante i punk bolognesi abbiano avuto i loro problemi con i duri e puri del movimento, l’atmosfera bolognese era più libera, forse già pronta ad un approccio dissacrante nei confronti della politica e più ‘primitivista’ per quanto riguarda la musica: in tempi non sospetti, Freak Antoni parlava dell’ importanza dell’errore, di formare una band in cui tutti suonassero male…sembra proprio l’ABC del punk-rock. Era importante svecchiare i canoni estetici del movimento del Movimento: i Gaznevada volevano abbracciare la tecnologia e la contemporaneità, anzi desideravano ‘accelerarla’, superando il luddismo tipico di certa sinistra che spesso vede la tecnologia solo come un trucco del mercato.
Come si arrivò all’organizzazione di “Ritmicittà” e del concerto gratuito dei Clash e chi ne furono i promotori?
Gli eventi del marzo 1977 crearono una spaccatura ancor più profonda tra Movimento e Partito
Comunista. L’omicidio Lorusso e l’intervento delle forze armate disposto da Francesco Cossiga e
accettato dal sindaco Renato Zangheri per sedare la conseguente rivolta degli studenti e dei militanti furono episodi sconvolgenti per una città che aveva fatto del dialogo tra le parti sociali uno dei punti di forza del proprio assetto civico. Seguirà poi il fallimento del Convegno Nazionale sulla Repressione che secondo molti ha dato il colpo di grazie al Movimento, ma che non ha ucciso le energie creative che nel corso degli anni settanta erano confluite su Bologna. Nel 1980 la giunta comunale PCI, guidata sempre dal sindaco Zangheri, cercò di riavvicinarsi ai giovani e a quello che rimaneva della cultura extra-parlamentare locale affidando a un team di operatori culturali guidato dall’assessora all’istruzione Aureliana Alberici il compito di realizzare una serie di iniziative che possano facilitare la ripresa di un dialogo. Mauro Felicori, ex-vicedirettore di “Città Futura”, settimanale della Federazione Giovanile Comunista, e Walter Vitali, ex-capo della sezione degli studenti universitari della FGCI a Roma, fanno entrambi parte della squadra della Alberici. Si decide di realizzare un festival, “Ritmicittà”, che si sarebbe svolto in Piazza Maggiore. Il festival avrebbe coinvolto cooperative culturali quali la Harpo’s Bazaar di Oderso Rubini (la realtà che aveva permesso a gran parte dei gruppi bolognesi – Skiantos, Gaznevada, Confusional Quartet, Windopen – di esordire) e altri collettivi artistici, di danza e teatro. Mancava però un evento che richiamasse attenzione: Massimo Buda, giornalista musicale di Lotta Continua e Rockerilla, suggerisce allora di scritturare i Clash, gruppo punk dichiaratamente di sinistra e quindi perfetto come headliner di una manifestazione di questo tipo, specie nel contesto bolognese.
Veniamo al concerto, trentamila persone, tante leggende intorno all’esibizione dei Clash…
Uno degli aspetti più interessanti legati alla memoria collettiva del concerto di Piazza Maggiore è che ognuno dei presenti ha la sua versione dei fatti, spesso molto ricca di particolari e condita di episodi leggendari. Ne parlavo qualche giorno fa in una chiacchierata con Angela Zocco di Radio CittàFujiko: dicevamo che se il concerto si fosse svolto nel 2020 probabilmente le storie da tramandare ai posteri sarebbero state forse di meno: avremmo esaurito la nostra curiosità con le dirette dai camerini via Instagram, le anticipazioni sulla scaletta, i saluti pre e post concerto su Facebook, i video del pubblico…e invece ci sono mille misteri intorno a questo evento, mezze verità poi smascherate o leggende che, a torto o a ragione godono ancora di credito…Di certo i Clash lo ricordano come uno dei loro migliori show fino a quel momento, come testimoniano le parole del roadie The Baker e quelle dello stesso Joe Strummer. L’aneddotica è infinita, dicevo: si va dalla paura (infondata) dell’organizzazione che Strummer si presentasse con la maglietta ‘autocostruita’ delle Brigate Rosse/RAF indossata al festival Rock Against Racism, allo svenimento sul palco di Mick Jones che alla fine dei bis si sarebbe colpito da solo con la chitarra per la troppa foga. Poi il ritardo di Topper Headon, con il batterista del gruppo spalla Whirlwind a prendere il suo posto per otto canzoni. Il giorno prima i Clash avevano suonato a Nizza e ognuno dei componenti era arrivato a Bologna con mezzi propri, a differenza della crew che viaggiava con il backline: Topper si era perso per strada tra Nizza e Bologna e, una volta arrivato in loco, ha avuto qualche problema a convincere la security che il vero batterista dei Clash non era quello che stava suonando in quel momento sul palco! Inoltre, il live si sarebbe dovuto svolgere lunedì 2 giugno, ma per lo stesso giorno era stato programmato un comizio del social-democratico Pietro Longo, causandone lo spostamento alla domenica: chissà quanti hanno finito per perdersi il concerto a causa dell’anticipo forzato…con grande sdegno di Paul Simonon che il giorno dopo voleva andare a dirgliene quattro a “This Fuckin’ Mr. Longo”!
Nel libro dai spazio alla protesta inscenata dagli anarchici Raf Punk, che chiedevano con un volantino stampato in mille copie di boicottare il concerto. Tu credi che i Clash siano stati rappresentanti genuini del movimento punk? Qual è il loro rapporto con la città di Bologna?
Ho sempre nutrito questa idea istintiva, anche al di là del concerto, che tra Bologna e i Clash ci fosse un’affinità. Per molti Bologna rappresentava una speranza nel contesto politico italiano. Bologna era l’esempio di un Italia diversa, finalmente amministrata dalla sinistra. Allo stesso tempo era la capitale della musica indipendente e dell’avanguardia: la città sembrava aver trovato il modo di coniugare giustizia sociale e libertà di espressione, quindi su di essa si proiettavano tantissime aspettative. Dal canto loro, i Clash erano la voce del punk nel mainstream, the only band that matters. Da subito criticati per il loro contratto major con la CBS, per molti i Clash erano quelli che, bruciato il palazzo del music business, dovevano costruire le fondamenta di qualcosa di nuovo. Un compito arduo per dei ventenni che, nonostante tutto, hanno fatto di tutto per lenire le contraddizioni della loro condizione e per venire incontro ai loro seguaci. Portavano in tour band come Suicide e Slits, lottavano affinché i loro dischi fossero messi in vendita a prezzo ridotto, spesso facevano entrare gratis i ragazzi rimasti senza biglietto ai loro concerti. Nonostante tutto, puntare il dito contro i Clash era diventato uno sport molto popolare in Inghilterra e non solo. Un po’ come accadeva a Bologna in ambito politico e amministrativo, i Clash dovevano dimostrare di essere impeccabili in un contesto che li costringeva a vivere in contraddizione: ogni loro passo era scrutinato con un’attenzione maniacale, ogni loro ‘errore’ punito da critiche feroci e accuse infamanti. Joe Strummer soffriva molto per questo e sentiva il peso di tutte queste aspettative sulle spalle. Anche Bologna era sotto stretta osservazione da chi la vedeva come un esempio positivo ma anche da parte di chi non aspettava altro che vederla fallire come modello politico e sociale. Non è un caso che tra la città e i Clash si sia stabilito un rapporto speciale e duraturo. Per molti versi, Bologna è una città molto clashiana ancora oggi: il Parco Nord è stato rinominato nel 2003 Arena Joe Strummer. A Bologna si sono svolte otto edizioni di un tributo dedicato al frontman dei Clash dopo la sua dipartita nel 2003. Per rispondere alla tua prima domanda, se io non avessi trovato Combat Rock dei Clash in un negozio di dischi della mia cittadina natale non sarei qua adesso a parlare di tutto questo: che piaccia o no, quel disco era arrivato lì grazie alla tanto criticata distribuzione major dei Clash. Quell’album mi ha messo su un percorso che mi ha portato a conoscere il punk i tutti i suoi aspetti. È così che sono arrivato anche alla musica e alle idee di chi i Clash li criticava, come i Crass e gli stessi RAF Punk. Inoltre, i Clash parlavano del mondo, non solo del UK: dicevano in termini molto chiari che i problemi degli ultimi non avevano confini; che un ragazzo povero del Regno Unito aveva più cose in comune con un immigrato o un abitante delle campagne sudamericane di quanto certi politici facessero credere. Questo è un messaggio enorme, attualissimo anche oggi in tempo di sovranismi dilaganti. Inoltre, se oggi noi accettiamo il crossover, il dub, l’hip-hop, il reggae in ambito rock lo dobbiamo in gran parte ai Clash e al loro approccio internazionalista e multiculturale.
Puoi spiegare la tesi di “parallelismo spirituale” che tu e Arturo Compagnoni di Rumore sostenete esserci tra il concerto dei Clash in Piazza Maggiore e quello dei Sex Pistols alla Lesser Free Trade Hall di Manchester?
Ovviamente sono due cose completamente diverse, il locale di Manchester era molto più piccolo di
Piazza Maggiore e il concerto era stato organizzato da due ragazzi, Howard Devoto e Pete Shelley dei Buzzcocks, e non da una grande amministrazione pubblica, però l’aura che i due eventi ancor oggi si portano dietro è simile. Ho incontrato tantissimi che mi hanno detto di come quel giorno i Clash li abbiano folgorati. In tanti mi hanno detto di aver iniziato a pensare diversamente alla musica dopo quel concerto, di aver ricevuto uno stimolo fortissimo a mettersi in gioco in prima persona. Nel capitolo “The Sound Of Sinners” riportiamo le testimonianze ad esempio di Marzio Manni dei Tribal Noise/Valentines e Marino Severini della Gang, passando per il Rude (Ghetto 84, Rude Hi-Fi) e Amedeo Bruni di Rumore/Radio Città del Capo/Rivolta dell’Odio, tutte persone che hanno ricevuto una scossa da quel concerto, così come era successo alla Lesser Free Trade Hall il 4 Giugno 1976 a personaggi come Morrissey, Peter Hook, Tony Wilson e tanti altri.
Infine, anche se questo sembra contraddire il titolo stesso del libro, sono comunque convinto del fatto che la storia non cambi a cause di grandi eventi e neppure grazie ai grandi concerti: la storia è un percorso fatto di micro-trasformazioni continue in perenne flusso. Tuttavia, in quel famoso 1 giugno 1980 tante forze in trasformazione si sono trovate a condividere un luogo, un tempo e uno spazio. Fotografare quel momento significa avere la possibilità unica di vedere queste energie tutte raccolte attorno, sopra e dietro al palco di Piazza Maggiore. Buona parte dei nostri anni 80 musicali iniziano a definirsi lì, attorno a questo concerto vissuto così intensamente, anche se per ragioni diverse, da tutti coloro che hanno contribuito al nostro libro.
(Matteo Maioli)