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Il maestro è tornato. La divinità dai capelli platino e trasandata torna con il suo nuovo album “Lamentations”. Ma per capire a pieno la sua musica, bisogna conoscerlo. William Basinski è l’uomo che è riuscito ad elevare il suono loop ad arte, diventando un punto di riferimento nella musica ambient.
Con l’utilizzo di tecnologie obsolete e di tape loops, i suoi panorami musicali inquietanti e malinconici esplora la natura temporale della vita, echeggiando alla memoria e all’enigma del tempo.
Il compositore americano d’avanguardia ricompare con un nuovo progetto; e lo fa dopo aver scritto uno dei capolavori del ventunesimo secolo “The Disintegration Loops” pubblicato come una serie di quattro album tra il 2002 e il 2003. Quella serie di composizioni è stata per Basinski la sua reazione musicale all’orrore dell’11 Settembre 2001, a cui lo stesso artista ha assistito da un tetto mentre si trovava a Brooklyn per lavoro.
“Lamentations” è senza dubbio un momento memoir. Torna a fare irruzione nei suoi vecchi archivi personali per far rivivere le sue registrazioni ormai definibili vintage, si tratta infatti di nastri risalenti al 1979. Gioca, ancora una volta, con il concetto di tempo, proprio come aveva fatto con “Disintegration Loops”, che rimane ad oggi la sua opera più lodata.
Contemplativo e instabile, proprio come il mondo in questo momento, il disco è composto da 12 tracce che suonano come un arredamento sonoro ideale per ritirarsi in pieno lockdown. Sembra anticipare tutta l’angoscia che da lì a poco il mondo sarà chiamato ad affrontare. Racconta di un’apocalisse ormai imminente in cui il tempo ci scivola via troppo velocemente.
L’influenza operata da Preston è ancora attuale in Basinski; frammenti di opere infestate le si possono sentire in brani come “O, My Daughter, O My Sorrow” e “Please, This Shit Has Got To Stop” dove il compositore rende tutto ancora più moir con l’inserimento di voci femminili colme di dolore. Sono proprio queste voci a rendere tutto claustrofobico, vengono aggiunte come piccoli suoni in continua lotta tra il ricordo di qualcuno e lo stesso ricordo schiacciante della loro assenza. Ecco che, ancora una volta, i due concetti fondamentali risuonano in Basinski: il tempo e il ricordo.
Tutti i brani vengono realizzati in loop senza alcuna battuta di arresto; il brano di apertura “For Whom the Bell Tools” trasuda il vero suono di quell’inerzia del reale a cui oggi siamo sempre più abituati, mentre “Wheel of Fortune” sembra essere messo insieme da deboli e sovrapposti echi di orchestre jazz. E sembra proprio che l’Apocalisse ormai in atto arrivi nel momento in cui ci accingiamo ad ascoltare “All These Too, I, I Love”, dove Basinski ancora una volta inserisce la voce triste di una donna lirica colmato dalla presenza di piccoli scoppiettii.
La fine, però, sembra fermarsi di colpo con “Transfiguration” che ci immerge in un ignoto abisso questo volta pieno di speranza. Questa speranza è però solo illusoria, Basinski ritorna in sé e cambia di nuovo rotta con l’ultimo pezzo “Fin”; propone una fase conclusiva catastrofica in cui i resti della fragile vita sfuggono attraverso ronzii di macchinari.
Il tempismo e il modo in cui Basinski struttura questo album è fenomenale. “Lamentations” è colmo di dolore. Dolore provocato da un’apocalisse imminente che niente e nessuno sembra riuscire a fermare.
I suoni dolorosi dell’album servono a ricordare il tempo perso, tempo che in questo momento sembra non poter più ritornare. L’unica cosa da fare è ascoltare queste dodici fenomenali tracce, di sera alla finestra mentre, all’esterno, tutto il mondo tace.
75/100
(Ilde Stramandinoli)
Foto tratta dal Bandcamp ufficiale dell’artista, utilizzabile per fini promozionali
Fotografo non individuabile