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Ascesa e caduta di un impero riminese
Il riassunto definitivo di ciò che è SanPa, la miniserie documentaria di Netflix, lo fa un giornalista, Luciano Nigro, ribadendo l’approccio sfumato e il giudizio contraddittorio verso la comunità e i suoi metodi, rivendicando l’impossibilità di uno schieramento netto. Netto come fu quello negli anni Ottanta e primi Novanta attorno alla questione, come quello che oggi si ripropone su giornali e social dopo il successo della miniserie.
Ideata da Gianluca Neri, da lui scritta con Carlo Gabardini e Paolo Bernardelli e diretta da Cosima Spender, SanPa racconta in 5 parti la nascita, la crescita e la caduta di quella che è divenuta la più grande comunità di recupero per tossicodipendenti d’Europa, con più di 2000 ospiti al suo acme, sulle colline in provincia di Rimini. E soprattutto racconta di Vincenzo Muccioli, il padre padrone della struttura, del suo carisma, dei suoi metodi “educativi” e terapeutici e di come quei metodi diventarono un regime del terrore fino alla morte di alcuni ragazzi.
Se l’andamento è quello del true crime, genere di cui Netflix è maestra, ispirato a prodotti comeWild Wild Country, il contenuto però pare abbastanza diverso perché SanPa non indaga nella criminalità dietro una situazione comune, non usa il documentario come mezzo per scavare dietro la facciata e rivelarne il marcio, ma vuole illuminare, come dice il sottotitolo, luci e tenebre, ossia raccontare le innumerevoli sfaccettature che una realtà, pur se ampiamente sviscerata, può ancora rivelare: non svelarla, ma indagare ciò che è davanti agli occhi di tutti, che tutti hanno potuto (ma forse non sempre voluto e saputo) guardare.
In questo senso la miniserie dimostra le potenzialità del documentario contemporaneo, a partire dalla narrazione: Neri, Spender e gli altri autori fanno un costante lavoro per dare un senso proprio a ogni storia, a ogni racconto, a ognuna delle persone che intervistano, andando oltre le semplificazioni che persino gli stessi soggetti vorrebbero dare. Si pensi per esempio a Red Ronnie e a ciò che rivela la sua totale adesione al progetto di Muccioli, a come mette lo spettatore di fronte a una realtà complessa (le migliaia di vite salvate mentre alcune si spegnevano) pur se mostrata coi toni della propaganda, o alle figure di Cantelli e Boschini, due ex-ospiti che hanno seguito vie opposte rispetto alla comunità (il primo prendendone le distanze, il secondo restando come responsabile terapeutico), entrambe comprensibili, entrambe “giuste”.
Il vero punto centrale della serie è mostrare come una realtà complessa e via via sempre più grande come quella di San Patrignano sia irriducibile allo schieramento “senza se e senza ma”, e al tempo stesso riflettere su come quella realtà sia un sintomo o una miniatura della realtà italiana, illuminando quel bisogno di autoritarismo e patetismo assurto a grimaldello politico di cui l’opinione pubblica ha bisogno. SanPa subisce, come tutti, il fascino carismatico e/o oscuro del patriarca Muccioli soprattutto perché lo fa raccontare da decine di altre persone che a loro volta quel fascino lo hanno subito, in un verso o nell’altro: illuminare quelle persone, mettere al centro le loro storie, le loro personalità, le loro verità è l’impresa più importante che la miniserie fa. Impresa a volte ingrata, ma necessaria: la ricezione stessa della serie, impermeabile a sfumature e distinguo, sembra dimostrarlo.
SanPa [Italia 2020] IDEATORE Gianluca Neri.
CAST Vincenzo Muccioli, Fabio Cantelli, Walter Delogu, Antonio Boschini, Luciano Nigro.
Documentario, durata 60 minuti (5 episodi), miniserie.
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