Share This Article
Il Viaggio, accompagnato dall’albo speciale To Hell1, è l’undicesima pubblicazione del Progetto Stigma e ultima fatica di Marco Corona, uno degli autori più istrionici e difficilmente interpretabili del panorama autoriale italiano.
Il suo è sempre stato un percorso artistico profondamente diviso tra il raccontare libero, senza linee e vincoli di sorta, o il narrare una storia che segua una struttura ben precisa e delineata. Leggere le sue opere è come guardare un film partendo dalla fine, oppure leggere un libro senza seguire l’ordine dei capitoli, magari saltandone addirittura l’epilogo, una disgregazione della trama e del tessuto narrativo che rende il viaggio meno ovvio.
Lo stesso Corona ha detto recentemente: “Stimo chi usa la sceneggiatura per lo stesso scopo che mi propongo io ogni volta che inizio un fumetto, ovvero perdermi in un sogno”.
Il Viaggio diventa quindi forse il mezzo per liberare definitivamente questa sua natura anarchica di autore indefinibile, grazie anche alla totale libertà creativa che Progetto Stigma concede ai suoi membri. Un libro che soprattutto nella prima parte non è accondiscendente, che non concede facili soluzioni, ma che anzi ci invita a entrare tra le sue pagine per godere appieno di questa labirintica sfida mentale che inquieta, confonde e affascina chi la intraprende.
La lussuosa villa abbandonata in cui si rifugia la famiglia del conte Giuseppe Augusto Levis (le cui fattezze bislacche riprendono l’alter ego con cui Corona rappresenta sé stesso nelle illustrazioni che posta sulle piattaforme social), dove durante un soggiorno è scomparsa la giovane figlia, diventa un crocevia temporale in cui gli anni non possiedono un peso e un significato specifico.
Un non luogo senza tempo nel quale si alternano senza soluzione di continuità bambini curiosi, tossici in cerca di rifugio, schiavi strafatti di morfina che tirano le carrozze del conte al posto dei cavalli, medium e porte che si aprono su inferni personali o familiari. Come quello che ha inghiottito la nobile famiglia protagonista e Carlo, il figlio maggiore del Conte Levis, che non si arrende alla sparizione della sorella. Un insieme di storie e linee temporali che si sovrappongono, si fondono, si dividono e si uniscono ancora una volta, senza mai lasciare capire fino in fondo quale sia il nesso, il fulcro della vicenda.
Un racconto lisergico, criptico e straniante al quale non serve dare forzatamente un significato o un sottotesto perché si rischia di perdere il piacere di una lettura diversa e probabilmente non apprezzabile da tutti, ma a suo modo unica. Il libro di Corona è composto da momenti e stati d’animo, da percezioni e sensazioni intense, dall’accettare di perdersi nell’osservare le tavole che lo compongono, oscure e intricate, minuziose e impeccabili, in cerca di dettagli o delle tante citazioni musicali, artistiche e storiche di cui il volume è intriso. Dalle canzoni di Lucio Battisti e dei Black Sabbath a Franco Battiato con la sua Delenda Carthago (che è anche una famosa affermazione di Marco Porcio Catone, politico e scrittore dell’antica Roma), passando dalla reinterpretazione delle opere di Niki de Saint Phalle e Francisco Goya per arrivare alle leggende e al folklore della Valtellina e all’esoterismo.
E’ invece nella seconda parte del libro, dove il protagonista diventa il figlio Carlo, che si può notare una narrazione più chiara, maggiormente interpretabile, in cui diviene lampante il rapporto incrinato tra il ragazzo e il Conte. Ragazzo che, proprio nelle ultime pagine, recita prima il monologo finale del Riccardo III di William Shakespeare e quasi subito dopo una strofa di commiato che mi ha portato alla mente il romanzo L’isola di Arturo di Elsa Morante.
Queste due dissertazioni gettano sul libro di Marco Corona una luce diversa, consegnando una forma alle dinamiche che muovono un nucleo malato e disfunzionale, dalla logica ormai sfuggente e sordida. Carlo affronta il lutto e l’adolescenza senza la madre, per la quale prova una inconscia attrazione sessuale che prende forma e sostanza nei suoi sogni confusi e tormentati , ormai persa nelle nebbie e nel torpore della morfina, sprofondata nella porta di un inferno tossico, uno dei tanti che la villa nasconde, per tentare di recuperare quella figlia che le è stata strappata.
Un passaggio drammatico che Carlo si trova a elaborare senza più neanche la figura paterna una volta vicina, per lui roccia a cui aggrapparsi e ora diventata dissoluta, lontana e assente dopo aver perso la figlia. Uno scontro emotivo che si palesa nel combattimento onirico tra Carlo e un genitore che assume le sembianze di un orribile e aggressivo ragno gigante. Uomo padrone, prepotente e latente, misogino e traditore, forse sospettato di qualcosa di ben più grave. Un accadimento che la memoria del giovane non vuole ricordare, rifiuta di accettare, un episodio che viene nascosto sotto le invenzioni fantasiose di una mente ferita.
Un’interpretazione, o una delle tante se esiste, macabra e oscura accentuata dalle meravigliose, enormi tavole del volume capaci di trasmettere inquietudine e un senso di malinconia. Corona è un artista poliedrico capace di utilizzare qualsiasi tipo di tecnica, tratto e di stile, una completezza artistica che gli permette un disegno e una raffigurazione mai banale e sempre sorprendente.
La sua cultura grafica gli consente di passare da figure umane parodistiche e distorte a un tratto realistico di grande presa, sebbene in questo caso le tavole di maggior impatto risultano quelle che rappresentano la villa e le sue mura interne, varchi dimensionali in cui si aprono simil squarci vaginali da cui scrutano misteriose presenze, le cui tappezzerie logore nascondono legami visivi che finiscono per fondersi con gli ornamenti di vestiti e pitture, in un uroboro grafico straordinario.
Un lavoro davvero di pregevole fattura che si esalta nella raffigurazione dei campi e dei lugubri meandri dei boschi che circondano la tenuta, solcati da figure ectoplasmatiche (o squarci temporali?) e serpi bianche. Impossibile non soffermarsi sulla complessità di queste raffigurazioni, nell’ammirare le campiture di nero ricamate dall’utilizzo sapiente dei retini, capaci di dare grande profondità alle strutture e alle figure umane.
Il Viaggio è una storia sul potere della fantasia infantile, una storia di memorie perdute, di uomini e donne, di vita e di morte, di sofferenza e di crescita, di addii e di nuovi inizi. La storia del mesto viaggio di una famiglia verso la sua consunzione, una discesa all’inferno in cui fratello e sorella sembrano assumere graficamente le fattezze del padre e della madre, quasi a volersi dividere le colpe di un fardello troppo pesante. Una ghost story ermetica, raffinata ma incredibilmente profonda e impegnativa, che chiede di essere assecondata, ascoltata, assaporata, ma che nello stesso tempo permette la creazione di una verità, anche se non necessariamente l’unica.
Alla fine rimane solo la villa, situata alla fine di un sentiero di terra battuta nascosto dai campi di mais, ferita dal tempo e dagli elementi, ma ancora granitica e imponente, testimone immobile dei segreti di diverse generazioni, e dei suoi tanti visitatori. Andate al suo cancello e provate bussare, oppure cercate un pertugio per accedere al suo cortile interno: forse troverete qualcuno che vorrà raccontarvi il suo viaggio.
Abbiamo parlato di:
Il Viaggio
Marco Corona
Progetto Stigma/Eris Edizioni, 2020
254 pagine, cartonato, bianco e nero – In preorder fino al 4 febbraio (con l’albo speciale To Hell in esclusiva) 23,00 €
(
Anteprima: “Il Viaggio” di Marco Corona (Progetto Stigma/Eris Edizioni)
1. albo speciale che viene dato in omaggio esclusivamente a chi acquista il volume in preorder fino al 4 febbraio 2021 e che racconta la discesa onirica di una delle protagoniste in un inferno allucinato e visionario dopo una iniezione di morfina
Lo Spazio Bianco è una rivista online, amatoriale e indipendente, dedicata a informazione, critica e divulgazione del fumetto, attiva dal 2002. Le ragioni della collaborazione tra Kalporz e Lo Spazio Bianco puoi leggerle qui