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Qualcuno dica al ragazzo di smetterla. Le ha provate tutte: gli avevano detto che con una chitarra in mano andava sul sicuro ed ecco i Kings Of Convenience. Dopo aver notato che ronzavano tutte attorno al dj si è dato in mano ai migliori produttori house per tirare fuori “Unrest”. Adesso sembran tutte pazze per l’elettronica e quindi elettronica sia. Anche se in realtà di elettronica ce n’è proprio poca nei Whitest Boy Alive di oggi. Ma è inutile, le cose non cambiano: Erlend, rassegnati, non è con la musica che attirerai graziose donzelle. Non funziona. Accompagnarsi – di nuovo – con un chitarrista con tre volte più charme di lui e un tastierista che dall’aspetto pare un attore porno tedesco anni ’70, ovviamente non aiuta.
E se l’obiettivo non era stato centrato le altre volte, beh, figuriamoci questa. Dopotutto, l’espediente non era dei migliori. Un esperimento annoverabile nella categoria dei “(alzata di spalle) mmm, si, carini”. Anche molto carini, in alcune parti: le saltellanti basi funky che faranno perlomeno muovere la testa alle fanciulle, qualche andamento alla Police (“Above You”), qualcosa di bucolico che ricorda i Kings of Convenience (“All Ears”), pezzi un po’ alla Postal Service (“Don’t Give Up”).
Certo, non si tratta di nulla di particolarmente nuovo o particolarmente complesso: canzoncine stupidine e leggere da canticchiare. Acqua fresca. E come l’acqua incosistenti e non certo indimenticabili ma, in ogni caso, adatte all’estate e ai primi freschi. Purtroppo rimangono sul groppone l’incedere tra il tamarro e l’irritante di “Figures” e la totale impalpabilità di “Done With You”. Insomma, a volte si rischia di pasticciare.
Forse è ora che l’iper prolifico occhialuto norvegese si sieda un attimo. A far troppe cose insieme si rischia di non farne nemmeno una bene.