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Un uomo, una donna e l’amore per il cinema
Un uomo e una donna. Una casa. Lui “il nuovo Spike Lee, il nuovo Barry Jenkins”, lei la sua compagna, la sua Musa, modella ed ex attrice. Nulla di più, o forse tutto sta proprio lì dentro, tra quelle quattro mura in cui Malcolm (John David Washington) e Marie (Zendaya), dopo aver partecipato alla prima del film da lui diretto, si urlano addosso, si disprezzano, si dicono tutto ciò che non si sono mai detti. Un bianco e nero elegante e raffinatissimo, citazione del cinema del passato, avvolge i corpi dei protagonisti che in una notte mettono a ferro e fuoco il loro rapporto, sé stessi e l’altro.
Girato in piena pandemia, parte da qui Malcolm & Marie, il film dello showrunner di Euphoria (folgorazione poetica rara, cuore “ipertrofico”, specchio della società contemporanea che vede in Rue, la stessa Zendaya, e in Jules i due poli), Sam Levinson. Sembra essere solo la storia di una relazione tra un uomo tossico e una donna apparentemente sottomessa, una lite tra chi una volta si è amato, ma la lite è il pretesto per parlare di cinema, del rapporto tra regista e critica (si citano IndieWire, Variety, LA Times) e tra autore e Musa. Marie è in silenzio, indossa ancora l’abito delle grandi occasioni, Malcolm è eccitato per le critiche entusiastiche, preso dal delirio superomistico egocentrico e borioso, non si accorge di aver ringraziato tutti tranne lei, motivo per cui Marie è arrabbiata, compagna sia nella vita, sia durante la fase creativa e realizzativa.
Soprattutto Malcolm deve dire grazie a Marie, che è materia – umile – della narrazione. È sua la storia di anni di dipendenza, sono suoi i tentativi di suicidio, sua è la disperazione; inevitabilmente Marie appare continuazione naturale e autoriale del lavoro di Levinson, una Rue cresciuta, ed è per questo che risulta così riuscita. Il regista conosce bene il personaggio, ogni espressione del viso e ogni sguardo di Zendaya, una Marie perfetta, che conquista per il magnetismo. Levinson è lì, tra di loro, si aggira tra interni ed esterni, visti spesso attraverso finestre e porte, metafore dello schermo, e scrive una sorta di pièce teatrale in cui espone Marie e Malcolm tanto ai colpi dell’altro, insinuandosi nell’intimità delle loro stanze, quanto allo sguardo dello spettatore che continua a riflettere su ciò che vede e su ciò che non vede.
Marie è capace di tenere testa a chi crede di essere maschio alfa, a chi per splendere la distrugge, la sminuisce. Malcolm è tossico in ogni suo gesto, è convinto di essere un genio e ogni cosa che scalfisce la sua aura lo fa crollare e aggredisce. Per lui lei è solo una bella storia, lui è deus ex machina, padre fondatore di un regno che porta il suo nome e relega Marie in uno spazio minimo, depotenziandola. Malcolm parla di cinema, si riempie la bocca di tutti quelli che l’hanno preceduto, rivendica una propria voce che prescinde da razza, genere, idee politiche. Mentre incalza quel Re che si fa nudo mostro di crudeltà e orgoglio, Marie riafferma sé stessa proprio nel vagare in quella casa e si spoglia di ogni abito, restando nuda, meravigliosa in tutte le sue debolezze.
Malcolm è insopportabile, non si può stare dalla sua parte, si resta ammaliati invece da Marie che smonta il gigante d’argilla deridendone la rabbia e l’ego ferito, l’insofferenza per ogni critica, perfino quelle positive, Marie che sarcastica è l’unica a riportarlo sulla terra. Malcolm & Marie ha qualche difetto, uno fra tutti il personaggio di Malcolm e i suoi discorsi che appesantiscono la narrazione e fanno odiare allo spettatore il film, ma riesce a coinvolgere chi guarda in un tempio di parole che si costruisce come un gioco al massacro, una notte claustrofobica metafora di un lockdown fisico ed emotivo, un lungo dialogo che inanella rabbia, orgoglio, silenzi, baci e tenerezze.
Malcolm & Marie [Id., Usa 2021] REGIA Sam Levinson.
CAST Zendaya, John David Washington.
SCENEGGIATURA Sam Levinson. FOTOGRAFIA Marcell Rév.
MUSICHE Labrinth.
Drammatico, durata 106 minuti.