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In occasione del St. Vincent Day, una rassegna dei suoi migliori video musicali.
7. “Jesus Saves, I Spend” (Marry Me, 2007)
(Regia: Andy Bruntel)
Tratto dal suo esordio “Marry Me” del 2007, la stralunata “Jesus Saves, I Spend” è un miscuglio di archi, blues e cori puerili. Il video musicale vede Annie Clark alle prese con le marachelle di un gruppo di boyscout e i loro badge d’onore per le azioni più strampalate. Dobbiamo dirlo, circondata da tutti quei bambini, St. Vincent sembra proprio una santa.
6. “Pay Your Way In Pain” (Daddy’s Home, 2021)
(Regista: Bill Benz)
Seduta a suonare un pianoforte ragtime fra riflettori nebulosi, effetti di fotocamera caleidoscopica e picchi di diffrazione, bionda come Nastassja Kinski in Paris, Texas. È bellissimo vederla così cambiata. Bill Benz riporta magistralmente le influenze musicali di St. Vincent su cinepresa (Kate Bush, il Bowie di “Young Americans”, Cindy Sherman), l’atmosfera sfocata di una discoteca della New York anni ’70 prende vita. Forse è l’ultima fantasia di Warhol incarnata, forse un po’ troppo citazionista. In ogni caso, è tornata a casa.
5. “Los Ageless” (Masseduction, 2017)
(Regia: Willo Perron)
Un pesce dalle sembianze antropomorfe balla a una festa in piscina. Non è l’inizio di una barzelletta, è l’episodio pilota della quinta stagione di Bojack Horseman e Los Ageless di St. Vincent è la colonna sonora più che perfetta per descrivere l’horror consumistico del mondo dello spettacolo californiano che lo show racconta. Un’interpretazione più pastiche e astratta, ma non per questo meno pop, è quella del regista Willo Perron, che con toni cronenberghiani e distopici, dipinge queste colorate e asettiche scene di vita hollywoodiana: chirurgia plastica, ossessiva cura del corpo e del proprio aspetto fisico, pura assuefazione e accondiscendenza. Tutto questo per non perdere, o quantomeno simulare, un barlume di giovinezza. D’altronde, come ci ricorda Bojack: “No matter what happens, no matter how much it hurts. You don’t stop dancing, and you don’t stop smiling”.
4. “Digital Witness” (St. Vincent, 2014)
(Regista: Chino Moya)
Pubblicata con tempismo nell’anno di massimo splendore per l’imperialismo zuckerberghiano (nel 2014 Facebook aveva appena comprato l’applicazione messaggistica Whatsapp), “Digital Witness” è un’aspra satira della selfie age. Ispirato al capolavoro teutonico Metropolis, il videoclip è una surreale finestra sulle ansiose paranoie di Annie Clark, fra comportamenti lobotomizzati e architettura Bauhaus, che non spreca occasione di decostruire la classica formula pop lip-syncing e colori pastello. E se questo non fosse abbastanza, c’è sempre l’esplosivo e triangolare taglio di capelli sfoggiato da St. Vincent – à la dito-nella-presa-della-corrente, per intenderci. Il giornalista americano Marc Hogan ha descritto il video come “conformità distopica”, noi non avremmo saputo dirlo meglio.
3. “Marrow” (Actor, 2009)
(Regia: Terri Timely)
Girato nell’arco di due giorni in un deserto al nord della California, il videoclip di “Marrow” è un rompicapo che lascia volutamente confusi su quello che potrebbe essere un incidente stradale. St. Vincent passa davanti a un altare in strada, ricordando distaccata gli avvenimenti e accompagnata da un potente groove sonoro che ricorda tanto i Battles quanto i primi Nine Inch Nails. Inquietanti angolature ritmate, un pastore con un gregge di montoni e uno strano senso di dissociazione rendono questo video musicale un piccolo capolavoro della filmografia unheimlich. Resta da domandarsi impauriti: chi sta inseguendo chi?
2. “Who” (Love This Giant, 2012)
(Regia: Martin de Thurah)
Poche cose colpiscono come David Byrne che balla à la “Once in a Lifetime” e fra queste si aggiunge Annie Clark in un tailleur nero e una regia ispirata a Ingmar Bergman. Videoclip tratto dalla collaborazione brass-pop con la leggenda post-punk, “Who” è un’ottima ballad di stranezze e alienazioni, e il video musicale non è da meno. Un commento sotto al video recita: “What a lot of people don’t realize is that this isn’t a music video. The camera just followed David Byrne on an average Tuesday”. Noi sottoscriviamo.
1. “Cruel” (Strange Mercy, 2011)
(Regia: Terri Timely)
A ben vedere, pochi riff hanno influenzato il rock anni dieci quanto quello di Cruel, un brano che con strana nonchalance riporta la veemenza gratuita inflitta sul corpo femminile. All’inizio del videoclip vediamo Clark rapita e trasportata in quello che sembra un caloroso ambiente familiare. I membri della famiglia (due bambini ma soprattutto il padre) presto si rivelano crudeli, relegano il suo ruolo a una femminilità passiva e serviente e, nonostante cerchi di adattarsivi, decidono infine di seppellirla in un baratro. Il video musicale, ideato da Ian Kibbey and Corey Creasey (in arte Terri Timely), è un’ottima interpretazione cinematografica del verso cardine del brano, a detta di Annie Clark tratto dall’autobiografia di Patti Smith “Just Kids”: “They could take or leave you, so they took you and they left you”. Di ispirazione andersoniana e con tono tragi-comico (esilarante la scena che la ritrae suonare la chitarra nel van con cui è stata rapita), Cruel è fra i video musicali più importanti degli anni dieci e per questo il nostro preferito nella sua decennale carriera.
(Viviana D’Alessandro)