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Sono ritornati il 10 agosto, a sorpresa, anche se negli ultimi due anni non se ne sono mai andati, quantomeno da quando hanno dato alle stampe due degli album migliori del 2019, U.F.O.F. e Two Hands, gioielli folk-rock che mostrano tutto il talento e la coesione della band nonché le doti cantautoriali e vocali della leader Adrianne Lenker, come peraltro avevano già mostrato Capacity, il loro sophomore album, del 2017, e abysskiss, prova solista di Adrianne risalente al 2018. Hanno da poco iniziato un tour negli States e il prossimo anno in Europa, anche se per ora, purtroppo, nessuna data italiana è stata annunciata. Lo scorso ottobre Lenker aveva inoltre pubblicato songs / instrumentals, ottimo doppio album che era stato anticipato dalla splendida “anything”. E anche il resto della band non si è, in fondo, mai fermato: il chitarrista Buck Meek, per esempio, ha suonato al fianco di Bob Dylan nel suo recente film-concerto diffuso online qualche settimana fa, Shadow Kingdom.
E così, in un agosto afoso e ancora paludoso a causa della pandemia e di tutti i problemi che essa ha portato al mondo culturale e in particolare a quello musicale, i Big Thief, a tutti gli effetti una delle band più interessanti del panorama statunitense, hanno diffuso su YouTube, Spotify e i loro canali social due nuovi brani, “Little Things” e “Sparrow”, sorta di doppio A-side. Il primo è stato registrato nell’ottobre 2020 mentre il secondo nell’estate 2020 ed era stato già eseguito in concerto dal gruppo. “Sparrow” è un ipnotico e poetico folk dal sapore biblico il cui testo, pieno di rime, anche interne, e di allitterazioni, è profondamente visionario e metafisico. Le docili percussioni, le chitarre acustiche e le linee vocali si intersecano tra loro con grande raffinatezza.
Ancor più interessante e testimonianza di un’ulteriore “versione” della band è “Little Things”, un intenso rock cantautorale che non ha poco in comune con alcune composizioni di Stevie Nicks. Il brano, prodotto dal batterista James Krivchenia, abbandona le atmosfere intimistiche e “immersive” dei loro album precedenti, e anche dell’ultimo lavoro solista di Lenker, per lasciare spazio a un’esplosione di ritmi trascinanti, chitarre quasi lisergiche e performance vocali avvolgenti e infuocate. Se il cantautorato di Lenker riesce a universalizzare un tocco, una parola, un silenzio, qui la band mette in scena quella stessa universalizzazione attraverso diversi momenti e in più passaggi cruciali: “Living in the city is a crowded place / I still lose sight of every other face”, “Leaving me undressed / Like some cheap classic movie / Maybe I’m a little obsessed / Maybe you do use me”, canta Lenker con malinconica gioia.
Il brano abbraccia sin dall’inizio un massimalismo sonoro che isola da subito l’ascoltatore e lo catapulta all’interno della scena: “The little things I like about you / How you say when you say what you do / When your feeling is a little gold and blue / When your feeling is a little strung out”. Qui non è la musica a universalizzare i piccoli gesti ma sono questi ultimi che, per loro stessa natura, risultano forti e, nel bene e nel male, laceranti. Si canta di una presenza sublime o di un’assenza che riempie il cuore? La risposta non è chiara o, meglio, è lasciata volutamente ambigua, mentre Lenker insegue una felicità passeggera, che vale così tanto proprio perché è provvisoria e che, appena prima del grido finale, viene sintetizzata in due versi: “I was inside / Where are you now?”.