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Non sono un grande appassionato dei demo: nella teoria trattasi di materiale non compiuto che l’artista ha migliorato con la versione definitiva e che, in quanto tale, non avrebbe dovuto vedere la luce. Però in effetti ci sono situazioni, come quella di cui scriviamo, in cui i lavori preparatori svelano molto del processo compositivo del cantautore in questione e che sono pertanto particolarmente interessanti.
Il 28 gennaio infatti PJ Harvey pubblicherà una ristampa di “Let England Shake” con acclusi i 12 demo, le prime versioni delle 12 canzoni dell’album, e già i primi due estratti disponibili sono sorprendenti perché svelano una sorta di composizione sulla base “di campionamenti”: Polly Jean suonava su frammenti di pezzi più o meno famosi in loop mantenendoli come struttura ritmica e la sua canzone si creava così, diversa ma inevitabilmente “figlia” di quell’altra. O, meglio, è l’atmosfera del brano che deriva dal climax del sample, o tramite la ritmica o proprio attraverso un refrain.
Il demo di “Let England Shake” – la canzone – inizia con un loop del gruppo vocale canadese dei Four Lads: la canzone è “Istanbul (Not Constantinople)” (1953) che scorre sotto l’intero brano.PJ fa suo il ritmo, e poi nella versione definitiva la melodia vocale diventerà praticamente il riff iniziale suonato da John Parish.
“The Words That Maketh Murder” invece svela definitivamente quello che era già chiaro: la canzone è la figlia illegittima della strafamosa “Summertime Blues” (1958) di Eddie Cochran e la Harvey la costruisce proprio sulla iconica frase “What if I take my problem to the United Nations?”, unendo la sua voce alla fine proprio a quel refrain.
Non fu dunque solo l’autoharp a ispirare Pj Harvey nella scrittura di quell’album. Chissà quali ulteriori spettacolari sorprese ci aspettano per gli altri 10 demo.
(Paolo Bardelli)
foto in home di john or juan al Coachella
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