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Questo disco mi ha lasciato macchie indelebili di rossetto, ma contrariamente ai mariti adulteri che cercano di nascondere il peccato agli occhi della moglie, ho sempre mostrato con orgoglio queste rosse sbavature sul colletto della mia camicia.
É da qui che iniziò la mia storia appassionata con Polly Jean Harvey, all’epoca solo ventiduenne e ricordo molto bene che anche per lei fu la prima volta (il primo disco s’intende).
E che disco.
Essenziale nei suoni (chitarra, basso batteria) e viscerale nei testi, capaci di parlare con schiettezza di sesso, verginità perdute e amori a tre, tutto spalmato su canzoni punk con influenze blues intrise di sensualità.
Il disco si apre con “Oh My Lover”, grido sofferto per recuperare l’amante distratto con la complicità di un’altra donna, per poi esplodere letteralmente in canzoni incendiarie come “O Stella”, “Dress” e “Victory”, interpretate in un magistrale rock’nroll style dal basso di Stephen Vaughan e dal drumming preciso di Rob Ellis. I toni si ammorbidiscono quando i violini compaiono in “Plants and Rags”, ma incombe sempre un senso di angoscia che rende le storie di Polly reali, come il dolore di amare. E se il crescendo di “Happy and Bleeding” è una metafora nemmeno troppo palese del sangue come primaria forma d’amore (“Fruit flower myself inside out I’m tired and I’m bleeding for you”), la conclusiva “Water” lava via i peccati e ci riconcilia con la bellezza del rock.
Oggi sono un amante che non ha dimenticato quegli anni di intensa passione, un fedele adepto che ha sempre accettato ed amato tutte le camaleontiche trasformazioni di questa musicista britannica; dalla rabbia di “Rid Of Me” (1993), dal successo riconosciuto da pubblico e critica “To Bring you my love” (1995), passando per l’elettronica di “Is This Desire” (1998), i bozzetti personali di “Uh Huh Her” (2004), i canti intimi e sofferti di “White Chalk” (2007) fino agli ultimi e più militanti lavori “Let England Shake”(2011) e “The Hope Six Demolition Project” (2016).
Senza dimenticare un disco bistrattato come lo splendido “Stories from the City, Stories from the Sea” del 2000 e le collaborazioni con John Parish (“Dance Hall at Louse Point” del 1996 e “A Woman a Man Walked By” del 2009)
Il primo amore, però, non si scorda mai.
(Nicola Guerra)
28 gennaio 2022