Share This Article
Con Things Are Great, il loro sesto album in studio, i Band of Horses ripartono sei anni dopo l’ultimo loro lavoro vestendo di una forma rinnovata e aggiornata quegli elementi musicali, integrati in maniera eccelsa nel loro debutto e brillanti solo a tratti in alcuni degli album successivi al primo, che hanno da sempre caratterizzato la sonorità del gruppo. Di reinvenzioni, in realtà, Band of Horses ne ha vissute parecchie, considerando che il leader Ben Bridwell ha attraversato, nei cinque dischi precedenti, numerose varietà di indie-rock immergendolo di volta in volta in ritmi folk nebbiosi, in ruggiti accesi e rabbiosi, in improvvise svolte country, in impennate pop sorprendenti: la summa di queste attitudini può trovarsi davvero, però, soltanto nel debutto, Everything All the Time, dove la magistrale “The Funeral” valeva il prezzo del biglietto e nel quale tutto funzionava a meraviglia, e in parte anche nel secondo lavoro, Cease to Begin, pregevole sotto svariati aspetti.
Oggi i Band of Horses, dopo svariate modifiche alla line-up, iniziate già dopo il debut, ritornano a fare ciò che fanno meglio ridando spazio, finalmente, a quella spontaneità che sembrava perduta: senza che ciò sembri una deminutio, Bridwell e soci danno il meglio quando “semplicemente” suonano un limato indie-rock che sa far parlare le chitarre e che lascia spazio alle più sincere confessioni del suo leader. La sua band, fatto di non poco conto, ha il pregio di saper proporre sia pezzi che sono veri e propri anthem sia ballate che sanno essere personali e universali insieme. In Things Are Great questa compenetrazione di stilemi e di mood pare essere tornata a funzionare: il bersaglio è centrato, il disco è compatto e convincente: siamo di fronte a uno dei lavori più riusciti del gruppo sin da quello d’esordio, benché non si tocchino mai i picchi dei primi due album.
Proprio chitarre sabbiose, che si insinuano in ritmi conturbanti e maliziosi, sono al centro della maggior parte dei brani del disco, il cui titolo ironico cozza sin da subito con le sensazioni contrastanti e col cinico realismo che emergono nella maggior parte dei brani. Si pensi a “Warning Signs”, apertura del disco, sotto la cui melodia sognante e ipnotica sopraggiungono momenti di timore e di dubbio. “You showed a lot of warning signs”, canta Bridwell, “You made your own situation mine, now your problem is mine”, mentre il narratore si ritrova nel pieno di un dramma esistenziale e medico.
Le melodie dolci che caratterizzano tutto il disco tradiscono una certa tensione e un realismo tranciante che rabbuia ogni possibile strada verso la luce e la pace: “You deserted me in the hard times”, canta Bridwell in “In the Hard Times”, mentre un arrangiamento quasi emo-pop avvolge dall’inizio alla fine il pezzo. Il falsetto di Bridwell squarcia le nuvole e prova a portare un vento di speranza in un contesto che non sembra, però, lasciare spazio alla gioia. La apparentemente quieta “In Need of Repair” esprime senza ipocrisie questo tragico bipolarismo che lascia aperti portoni in merito al futuro e persino al presente: “I’m in a state of disrepair / And trying to make it til the morning”, recita il brano, che sotto il suo tappeto di chitarre melliflue e di ritmiche abbacinanti nasconde riflessioni e rivelazioni potenzialmente sinistre.
I dieci brani che compongono Things Are Great, pur non facendo gridare a un ritorno del gruppo ai picchi raggiunti più di quindici anni fa, sono ariosi e solidi e le loro melodie di ampio respiro e mai prevedibili. Sono riconoscibili quegli approcci chitarristi tipicamente indie-rock stelle-e-strisce e quell’intreccio intricato di arpeggi e di accordi che sono da sempre un marchio di fabbrica di Bridwell. In ogni angolo, a cercar bene, affiorano traumi, paure e incertezze che creano una forte aporia rispetto alle melodie spesso luminose e raggianti. Si pensi, per esempio, ad “Aftermath”, immerso nelle turbe che qualsiasi genitore può avere: come un taglio improvviso compare uno choc (“Then the morning brought a scare / Holding a child falling down the stairs”) che solo il finale, come una ninnananna, prova a ricucire: “Aftermath / All of my love, my love / Oh, my darling, darling, my love”.
In definitiva, Things Are Great è un lavoro che, se fosse arrivato una decina di anni fa, in un momento interlocutorio del gruppo, che si sarebbe trovato spaesato di fronte ai percorsi spesso non troppo coerenti che il suo leader Bridwell era sul punto di prendere, avrebbe fornito la prova che le qualità del suo principale songwriter erano rimaste intatte; queste qualità, infatti, ci sono ancora, sono visibili ovunque in questo nuovo lavoro e brillano maggiormente proprio quando sono messe al servizio di ciò che Bridwell e soci – a registrare il disco è una formazione che vede una nuova aggiunta e che è differente da quella che aveva registrato nel 2016 Why Are You OK – sanno fare meglio, un indie-rock emozionale e sincero, ordinato e diretto, che non ha alcuna paura di mostrare al mondo intero le sue fragilità.
70/100
(Samuele Conficoni)