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Metti su il nuovo disco di Jason Pierce e provi subito una gioia immensa. Il pezzo di apertura non è del tutto inedito, è infatti “Always Forgetting With You (The Bridge Song)”, uscita in occasione del Record Store Day del 2014 nella compilation “The Space Project”, via Lefse. Proprio questa canzone, rivista per l’occasione con una serie di cori armoniosi nel bridge e un crescendo sinfonico più impetuoso che la versione originale (dove la particolarità stava nel fatto che venissero proposti suoni registrati nello spazio dalle sonde Voyager 1 e Voyager 2) aveva anticipato l’uscita di “Everything Was Beautiful” già nei mesi scorsi creando grosse aspettative, a mio parere rispettate, negli appassionati. E poco importa quale delle due versioni sceglierei, si tratta in ogni caso di una bellissima canzone.
Dopo “And Nothing Hurt” (Bella Union, 2018) Jason Pierce aka J. Spaceman aveva lasciato intravedere qualche dubbio relativamente all’opportunità di portare avanti il progetto Spiritualized: per la verità il disco non era stato uno dei migliori della sua produzione. Ad ogni modo (per fortuna) ci ha ripensato e l’uscita di “Everything Was Beautiful” dopo due anni di crisi sanitaria e in questo preciso momento storico contrassegnato da grandi inquietudini vuole essere una proposta curativa. È evidente già dalla copertina del disco, in questo senso dobbiamo anche inquadrare quello che ci ha detto Jason Pierce a proposito della pandemia e la sensazione di essersi allenato tutta la vita per affrontare questo momento.
Sotto certi aspetti “Everything Was Beautiful” appare una versione smart di un disco sicuramente più potente (anche per la lunghezza delle canzoni) come “Sweet Heart Sweet Light” (2012). Qui funzionano tanto i pezzi tirati quanto quelli dal carattere devozionale e spirituale, compresa “I’m Coming Home Again”, la classica chiusura dilatata che Jason Pierce è solito mettere alla fine di molti degli LP pubblicati come Spiritualized. Una canzone che ha delle tonalità jazz mescolate con il gospel (una costante dell’intero LP) e delle tinte persino noir. Coadiuvato in primis dal producer e collaboratore storico John Coxon, Jason Pierce realizza un disco dove riesce a coniugare l’anima pop e soul (“Let It Bleed”, il boogie cosmico di “Best Thing You Never Had”) con quella space music che del resto ha contributo a “fondare”. Lo fa con un uso abbondante di tastiere e crescendo sinfonici (“The A Song”) che sono trascinati da sontuose linee di fiati (“The Mainline Song”).
Non mancano ovviamente quelle tipiche ballad che ti toccano nel profondo del cuore e ti curano dalle fatiche e dalle pene alleviando i pensieri più gravi, come “Crazy”. Non lo so se uno pure allenandosi tutta la vita possa mai essere pronto a affrontare una pandemia. “Everything Was Beautiful” non è sicuramente il miglior disco che Jason Pierce abbia realizzato nel corso della sua lunga produzione, ma è un buon disco e fa piacere che ci abbia voluto coinvolgere con queste costruzioni armoniche che sono le sue canzoni, che ci abbia ricordato quanto la vita sia alla fine tutto sommato qualche cosa di meraviglioso.
74/100