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Quello del cantautorato americano è un universo immenso. E c’è chi non perderà mai la voglia di esplorarlo, nel tentativo di comporre una personalissima mappa stellare. Soprattutto se coadiuvato da scoperte come questa.
Lucinda Williams non è una novellina. Anzi, è una vera e propria bandiera di quella branca di autori affezionati tanto a Gram Parsons (nume tutelare soprattutto in una “Fancy funeral” che si rifà alla sua “$ 1000 wedding”) quanto a Hank Williams, tanto a Neil Young quanto a Leadbelly. Comunque, mai come in “West” la sua musica ha suonato così vitale, energica e attuale. Non è un album leggero, “West”: è attraversato da un sentimento di sconfitta e rassegnazione che a tratti raggiunge abissi oceanici (come in “Unsuffer me”). La strada scelta per gli arrangiamenti porta più alla asciuttezza che all’opulenza, schivando i territori più roots/country dei dischi precedenti, dando anche molto spazio alle elettriche (la splendida “Come on”). Il vero fulcro energico è comunque rappresentato dalla voce di Lucinda, a tratti suadente e pulita, a tratti graffiante e ruvida alla Marianne Faithfull, mentre il suo talento come autrice si palesa soprattutto nell’iniziale “Are you alright?”, nella lenta, livida “Where is my love?” e nella commovente “What if”.
Lucinda Williams non è abbastanza giovane per essere definita una rivelazione, e non è abbastanza vecchia per essere liquidata come “pezzo di storia”: è semplicemente l’ennesima incarnazione della tradizione della canzone d’autore americana, così solida da poter continuamente rinascere dalle proprie ceneri.