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A volte, certe conversazioni sono surreali. Come quando sai che tra pochi minuti parlerai con una persona il cui cognome farebbe tremare i polsi a qualunque appassionato di letteratura. Come quando tenti di fare un’intervista via Skype, e domande e risposte si intrecciano in maniera insensata.
Eppure, quello che ne esce è qualcosa di bellissimo. Spietato nel parlare della sua scrittura, dolcissimo quando parla dei suoi amici Hollowblue (con i quali sta per partire in tour per una serie di concerti-reading, e con cui realizzerà un disco in uscita a fine 2008), irriverente quando parla delle sue richieste da backstage… Di fianco a lui, Gianluca Maria Sorace, voce e autore degli Hollowblue, è una spalla silenziosa e fiera.
(dove non indicato, è Dan Fante a rispondere)
La prima domanda è un classico: come vi siete incontrati?
Ci siamo incontrati grazie ad Anthony Reynolds (il leader dei Jack, con i quali gli Hollowblue avevano scritto “Io bevo”, Ndr): conoscevo Anthony da anni, da quando abitavo a Londra.
GMS: Anthony, un giorno, mi parlò di questo suo buon amico un giorno…io ho lavorato un po’ come grafico sul suo sito, ed eccoci qui.
Dan, che cosa hai trovato nella loro musica che ti ha attratto al punto di lavorare con loro?
Le cose che fanno sono scentrate, inusuali. Mi hanno colpito immediatamente.
Pensi che ci sia una sorta di immaginario comune nelle cose che scrivete?
Se i testi sono poetici, certamente. Ho sempre trovato un legame molto forte tra la musica e la poesia.
Come è nato “First avenue”? (è il brano che inaugura “Stars are crashing (in my backyard)”, aperto dalla voce di Dan Fante e da una sua poesia, su una base dissonante di pianoforte e archi sibilanti…Ndr)
Io avevo molti testi scritti da anni, ma i pubblicati, e le parole di “First avenue” hanno colpito Gianluca. Lui ha adattato le mie parole alla sua musica, e vi abbiamo lavorato a distanza, via computer. Sono deliziato dal modo in cui l’abbiamo trasformata.
Mentre scrivevo la recensione al disco, le immagini che mi tornavano più alla mente erano i quadri di Hopper…Non so come mai, ma per me quei quadri e queste canzoni hanno un feeling comune.
Credo sia un buon paragone, ma quello che abbiamo creato è un po’ più arrabbiato, penso.
Sì, il testo è più amaro: un verso dice “ho un paio di calzini che amo più di te”. Avevi qualcuno in mente mentre scrivevi quella frase? E di solito, i tuoi personaggi si riferiscono a persone che hai incontrato realmente?
Quel testo viene da “Chump change”, il mio primo romanzo (in italiano tradotto come “Angeli a pezzi”, Ndr), e parla di un’odiosa puttana che conoscevo molto tempo fa…
E’ una cosa che si legge spesso a proposito dei tuoi romanzi: le figure femminili non sono quasi mai positive…
Dipende da quello che cerco di comunicare ma sì, credo che il conflitto sia necessario, talvolta anche un conflitto estremo.
Non ti sei mai sentito “nudo” mentre scrivi? Voglio dire, a volte sembra che tu stia parlando davvero della tua vita privata, e sei molto crudo nel farlo…
Certo. Ma l’intento è quello di catturare il lettore. E’ importante prenderlo e portarlo via con le parole.
Anche a costo di esporsi così tanto? Con il rischio che tutti vengano a chiederti di fatti privati, di cose che vorresti tenere per te? (il riferimento qui è al rapporto col padre, indagato nell’ultimo romanzo “Don Giovanni”, ma anche ai suoi problemi – superati – di alcoolismo e droga, Ndr)
E’ questo che lo scrittore fa…è questo che lo trasforma in una voce nella tua testa.
Un argomento più leggero. State per iniziare un tour assieme: come vi sentite? So che saranno protagoniste dei concerti alcune poesie inedite, musicate dagli Hollowblue…
Amo l’Italia e gli amici che ho qui. Per me è una gioia, non mi importa nulla delle letture, sono abituato a sembrare uno scemo.
GMS: Io sono molto felice anche solo all’idea, è un onore dividere il palco e questi giorni con Dan.
L’importante è che ci siano dieci vergini nei camerini. Ne abbiamo bisogno, a ogni show.
Mi permetti un’ultima domanda? Questa è la prima intervista in cui tuo padre non viene nominato?
Sì, direi proprio di sì. Meriteresti un premio…
Quello che segue è un delirio semi-organizzato a base di vergini nei camerini, strane ricompense sotto forma di viaggi in Arizona, saluti e abbracci da zio d’America. In pochi minuti, la conversazione si trasforma in una pagina di Hunter S. Thompson sotto la stupefatta supervisione di Skype.
Misogino, crudo, dolcissimo: frase dopo frase, Dan Fante ha dato immagini diverse di sé.
Il palco e la musica degli Hollowblue lo attendono.