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Il festival annuale di “Dissonanze” è l’occasione, per il pubblico romano, di entrare in contatto con quanto di più stimolante circoli nell’ambiente dell’elettronica mondiale. In questo la serata del 3 Ottobre proponeva addirittura due delle band principali della scena: i tedeschi Mouse on Mars e gli americani Matmos, che erano stati anche scelti come presentatori/organizzatori della serata.
Peccato che la folla accorsa, spinta da un battage pubblicitario forse non calibrato a dovere, accomunasse in gran parte la musica elettronica al “ballo da discoteca”: mi è capitato così di assistere all’espressione tra lo stupito e il terrorizzato di una ragazza che, davanti all’ossequioso silenzio nei confronti di Keith Fullerton Whitman ha esclamato ai suoi amici “dio mio! Ma dentro non balla nessuno!”. Urgerebbe forse organizzare corsi di storia musicale prima di lanciare queste povere pecorelle smarrite in bocca ad un lupo del quale non avevano ipotizzato neanche l’esistenza.
A dir tutta la verità se non fosse stato per i Matmos la serata sarebbe stato un totale disastro: deludente People Like Us, a tratti addirittura irritante, del tutto inutili i Mouse on Mars. O meglio, utili a far finalmente muovere le gambette e le braccine a tutti i discotecari presenti, ma capaci di sfornare un sound di una piattezza sorprendente, basato su un tempo standard senza alcuna evoluzione. Sinceramente, la più grande delusione live dell’anno. Sembrava quasi di assistere ad una messa per decerebrati nella quale i due svolgevano il ruolo di sacerdoti. Stancanti, mai capaci del balzo definitivo, pallida ombra del gruppo che è possibile ammirare in studio.
Ma per fortuna esistono i Matmos!!! E sì che il loro set è stato il più breve di tutti: ma quanta intensità, quanta capacità magmatica, quanto splendore. I brani tratti dal loro ultimo capolavoro “The Civil War“, accompagnati da Lesser alla chitarra e da immagini della guerra civile statunitense, con la musica che si conclude sulla panoramica dei cadaveri, accolti ora da un silenzio che ha in sé qualcosa di eterno, hanno una potenzialità dal vivo stupefacente anche per chi, come me, ha avuto modo di gioire della perfezione dello studio. Ottime anche le riprese dal passato, soprattutto dal controverso “A Chance to Cut is a Chance to Cure” che riesce a trovare una dimensione più consona proprio nell’esperienza live. Insomma, una luce improvvisa in una notte buia, a tratti veramente troppo buia.
Delusione? Sì, tanta, accompagnata di buon grado dalla noia. Mi consolo con i Matmos, ma visto che si trattava di un festival questa consolazione risulta essere ben poca cosa.