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Siedo all’entrata del locale, di fianco a un tavolo dove raccolgo iscrizioni per la newsletter di Kalporz. È lì che, questa sera, tra un saluto ad un amico e qualche tentato gancio fallimentare, mi rendo conto che la serata sarà qualcosa di unico.
Scorro i nomi delle città di chi mi ha lasciato la sua mail e mi viene un colpo: Genova. Milano. Padova (è d’obbligo un saluto al kalporziano Francesco, a questo punto). Roma. “È possibile?” mi chiedo. Ebbene sì. Ho avuto modo di accorgermi di cosa significhi davvero avere un pubblico affezionato. Uno scambio di energia assoluta e totale tra il sestetto sul palco, evidentemente carico per aver ricevuto, il pomeriggio stesso, il titolo – meritato – di “miglior gruppo indipendente dell’anno” al MEI, e poco meno di duecento persone che non si sono perse una nota del concerto.
Pop frizzante, peccaminoso, malinconico, adolescenziale; una serie di melodie micidiali e contagiose, fino dall’iniziale “La moda del lento” alle perfette “Arriva lo yè-yè” e “Sadik”, per arrivare al singolo “Love affair” cantato da tutti fino all’ultimo residuo di voce. I Baustelle tengono per il finale le perle del primo disco, e così “La canzone del riformatorio” (rifatta per due volte) e soprattutto “Le vacanze dell’83”, e l’allegro pogo saltellante che scatena, sono il modo perfetto di concludere un concerto trionfale.
Parlare solo dei Baustelle mi sembra però riduttivo, dato il valore del gruppo spalla di stasera, assolutamente superiore alla media: un trio, ancora senza dischi all’attivo, con una visione così definita e netta del loro progetto musicale da lasciare davvero tutti a bocca aperta.
Originali pur con riferimenti ben udibili (immaginate CCCP e Massimo Volume immersi in una palude di ritmi sintetici e cadenzati), sono soprattutto i testi, recitati con un forte accento reggiano che finisce per caratterizzare le canzoni anziché disturbarle, a coinvolgere, con le loro storie di socialismo, politica, verginità e verginità politica. Dense di ricordi, profonde anche se mascherate da una forte ironia, le parole raccontano di Praga, di una giovanissima Khmer Rossa, di socialismo adolescenziale (“Cinnamon” ed il suo scoperto omaggio ad “Allarme” dei CCCP).
Insomma, quaranta minuti di esibizione, che, nonostante la relativa difficoltà della proposta, non ha lasciato nessuno indifferente. Bravi davvero. Si chiamano Offlaga Disco Pax, e mi auguro che ne sentiate parlare presto.