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Il “primo ascolto” è mettere nero su bianco le primissime sensazioni di quando, si diceva una volta, si mette la puntina sul piatto.
01. She Still Leads Me On
È il singolo già edito, dedicato alla madre di Brett Anderson, mancata nel 1989 quando Anderson era poco di più che ventenne. Canzone dolcissima anche se dal piglio molto energico, con sprazzi di testo da magone per chiunque abbia perso un genitore.
When I think of all the things my mother said
When I think of all the feelings I hid from her
Oh, in many, many ways, I’m still a young boy
Waiting patiently for 4 p.m.But I loved her with my last breath
And I loved her with a love that was strong as death
Perché è vero che siamo sempre dei figli, perché è vero che il nostro amore è forte come la morte. Probabilmente una delle loro migliori canzoni nel nuovo Millennio.
02. Personality Disorder
Nelle interviste che hanno preceduto la pubblicazione di questo nuovo album, Brett Anderson ha specificato che hanno cercato di registrare l’impatto che i Suede hanno dal vivo e che alle volte non sono riusciti a immortalare in studio. “Personality Disorder” fa proprio questo. Con una variazione intermedia, in cui il pezzo diminuisce d’intensità, molto suggestiva, per poi ripartire fino alla fine.
03. 15 Again
Anche “15 Again” era già stata ascoltata, è un discreto pezzo “alla Suede” che non spicca di ispirazione (sembra un po’ che gli accordi siano stati cercati a tavolino) ma che si fa piacevolmente ascoltare.
04. The Only Way I Can Love You
Un arpeggio evocativo apre la canzone che si adagia immediatamente in paesaggi in minore, con una punta di malinconia. Una canzone che sembra nascere da un’esigenza sentita.
05. That Boy on the Stage
Ecco che tornano gli Smiths: l’andamento è quello, ma più che altro viene in mente che sarebbe bello potere – immediatamente – ciondolarsi contro i ragazzi di fianco mentre si è a un concerto dei Suede e si ascolta questa canzone. Comunitaria.
06. Drive Myself Home
Parte con il pianoforte, delle specie di grilli o cicale in lontananza, arriva pure un cello: il quadretto è classico ma la progressione armonica no. Ci si può sdraiare immediatamente e perdersi nei propri pensieri, o ricordi. Bravo Brett, così si fa.
07. Black Ice
Urka, qui siamo alle prese con il fuzz, quasi una roba stoner. Il “ghiaccio nero” è una canzone di recriminazione, di riaffermazione, per dire che i Suede sono ancora qui. Non un capolavoro, ma ben fatta.
08. Shadow Self
Il piedino parte subito, perché i bpm non si fanno mancare, sembrano un po’ i Radiohead (o gli Smile?) quando pigiano sull’acceleratore. Dopo un lungo incipit strumentale, Anderson declama un po’ e questo effetto – se piace o meno – andrà verificato con più ascolti. Il ritornello epico fa tornare il brano su binari Suede, con una buona cura nell’arrangiamento ma un po’ meno – pare – nell’ispirazione. Forse evitabile?
09. It’s Always the Quiet Ones
Se su “Shadow Self” si hanno dei dubbi, perché è comunque un brano coinvolgente, su “It’s Always the Quiet Ones” no: si può skippare oltre.
10. What am I Without You?
Una ballata notturna che non svolta particolarmente, parrebbe che in questa ultima parte di disco i Suede si siano un po’ incartati.
11. Turn off Your Brain and Yell
Tutta l’energia repressa dei Suede viene sprigionata in questa “Turn off Your Brain and Yell” dal riff “alla Interpol”: è una degna chiusura, quasi epica, in ogni caso dolente, perché in definitiva questo “Autofiction” – ma non è questo il contesto di commento – pare un album tra l’arrabbiato e il deluso.
(Paolo Bardelli)
Photo credit: Dean Chalkley
fornita da Ufficio Stampa Astarte