Share This Article
Tra spazio e tempo, muoversi musicalmente tra questi due concetti significa vagare tra il sentire esterno dei posti vissuti mentre si fa musica o si suona e il sentire interno delle anime sonore che un artista abbraccia, ha abbracciato e/o continua ad abbracciare nel corso degli anni: l’11 novembre, in concerto a Firenze, Ben Lamar Gay – polistrumentista jazz di Chicago ospite della rassegna A Jazz Supreme di Musicus Concentus – si è mosso tra spazio e tempo, e la Sala Vanni, oltre ad aprirsi nel chiostro e cortile seicentesco del convento di Santa Maria del Carmine, è diventata un luogo ancora più ampio ed indefinito, in cui hanno trovato ragione d’essere le vibrazioni futuribili sprigionate sul palco dall’ensemble del musicista chicagoano. Lamar Gay è una sorta di sciamano musicale perché media tra l’umanità del ritmo (il suono quasi mantrico delle campane, la ricerca del contatto fisico con il palco) e la spiritualità delle tradizioni, quella afro-americana e brasiliana, filtrata dall’elettronica: Lamar Gay, insieme a Edinho Gerber (l’Edinho chitarrista di “Benjamim e Edinho” del 2018), Matt Davis (susafono), Tommaso Moretti (batterista con cui ha realizzato una lunga composizione suddivisa in undici brani raccolti nel disco di recentissima pubblicazione “Certain Reveries”), guarda al passato suonando nel futuro.
(Monica Mazzoli)